Il caso di Saman Abbas ha scosso tutta l’Italia e non si è ancora arrivati alla verità dei fatti. La giovane ragazza diciottenne, scomparsa ad aprile, ha catturato l’attenzione mediatica riportando in auge la tematica dei matrimoni combinati. Ad esprimere il proprio parere sulla vicenda di Saman la redazione dell’Urlo ha contattato Abdelhafid Kheit, Imam della moschea della Misericordia di Catania.
“Finchè non c’è il corpo non si può dire che la fase investigativa si sia conclusa. Alcuni voci dicono che è stata fatta a pezzi, altre buttate nel fiume. Abbiamo sentito di tutto. Questa situazione non è ben chiara, da parte del Governo abbiamo sentito che anche la richiesta dell’estradizione dei genitori da parte della ministra Cartabia. Non la ritengo eccessiva, penso che pure il Pakistan è uno stato di diritto e sarà pronto per decidere la soluzione migliore sull’estradizione di un proprio cittadino basata attualmente solo su delle ipotesi”.
Diverse tematiche sono state tirate in ballo in questo caso di cronaca: una di queste riguarda i matrimoni combinati.
“L’Islam come religione e come dottrina ha sempre condannato i matrimoni combinati, perché non esiste alcun riferimento ad un parere giuridico che obblighi tale pratica. L’Islam non accetta questi comportamenti, sappiamo bene che secondo la dottrina islamica la donna ha pari diritti dell’uomo e non va sottomessa. Queste sono soltanto delle pratiche private di alcune famiglie islamiche, non ci nascondiamo dietro un dito, e sono problematiche presenti ma che non hanno nessun riferimento religioso nella maniera più assoluta. Inoltre semplificare e ridurre all’etnia è sbagliato. Etichettare non è mai una buona cosa. Gli episodi di violenza di tale portata sono rari ma esistono. All’interno di alcune comunità etniche purtroppo queste situazioni sono reali. Vorrei precisare anche che non c’è in mezzo il fanatismo religioso, ma l’incoscienza di una singola famiglia”.
Associare il crimine compiuto esclusivamente alla fede è quindi un errore che non deve essere commesso?
“Credo sia totalmente sbagliato collegare l’omicidio alla fede e alla religione islamica. Come principio generale bisogna precisare che a nessuno è consentito farsi giustizia con le proprie mani, a prescindere di qualsiasi aspetto giuridico-religioso. Il caso di Saman è andato incontro ad una forte strumentalizzazione delle parti politiche. I crimini non chiariti sono ancora troppi in Italia e nel mondo. Basta guardare le trasmissioni televisive che se ne occupano, che spesso ci ricamano sopra e mettono in scena una spettacolarizzazione inopportuna. Io ci tengo a dire che c’è sempre bisogno della condanna senza riserve di queste pratiche nei confronti delle donne”.
Come si sta muovendo la comunità islamica di Sicilia sul tema inerente la violenza sulle donne?
“Siamo in prima linea nel promuovere delle iniziative di sensibilizzazione: il 15 di ottobre, venerdi prossimo, è infatti in programma un incontro organizzato con il Rotary Club di Catania. C’è già da registrare un boom di prenotazioni per l’evento, con più di 70 coloro che assisteranno alla Moschea della Misericordia di Catania. Si parlerà dei diritti delle donne in generale. Un tema molto interessante e che ha costante bisogno di un’attenzione e dei chiarimenti in merito. Presenzierà una donna musulmana, proveniente da Milano, una delle fondatrici dell’associazione delle donne musulmane in Italia. Di sicuro sarà un’occasione di confronto, dialogo e un’opportunità per svelare tanti aspetti”.