Le portavano in Sicilia dalla Bulgaria per istigarle alla prostituzione. Le trattavano come schiave e le costringevano a vivere in condizioni di vita precarie, alloggiate in abitazioni piccole, fatiscenti e sporche.
Si aggiravano nei dintorni della stazione ferroviaria di Catania, sembra fosse quella la zona a loro indicata in cui avrebbero dovuto prostituirsi. Le attività di prostituzione alle quali dovevano sottoporsi le giovani vittime si dovevano svolgere dalle 19 alle 04.30, tutti i giorni.
L’organizzazione, grazie alla prostituzione delle giovani, fruttava ai magnacci una cifra pare ai 1.400 euro a settimana per squillo.
Si trattava di una organizzazione che reclutava giovani donne direttamente dalla Bulgaria.
Le compravano per poco più di 6 mila euro ciascuno, per poi impiegarle nella prostituzione in strada e trattarle da schiave.
A sgominare la banda dei trafficanti di persone la Squadra mobile di Catania che ha arrestato otto persone e notificato un obbligo di soggiorno. Un decimo indagato è al momento irreperibile. Eseguiti nei loro confronti un fermo emesso dalla Dda della Procura e un’ordinanza di custodia cautelare del Gip.
Condotti in carcere tre albanesi e un italiano Emil Milanov, di 49 anni, Milena Milanova, di 31, Maria ‘Zinà Kozarova, di 27, e Massimo Corrado, di 33. Posti invece agli arresti domiciliari Francesco Barbera, di 40 anni, Giuseppe Caruso, di 35, Alessandro Santo Coco, di 31, e Elena Angelova, di 33. Sottoposto all’obbligo di dimora a Catania un 73enne.
I reati ipotizzati, a vario titolo, sono tratta di persone, riduzione in schiavitù, associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, aggravati dalla transnazionalità.
L’operazione dell’indagine prende il nome ‘Bokuk’, termine bulgaro che sta a significare spazzatura. Proprio così le chiamavano. Infatti per loro le ragazze acquistate e quindi di loro proprietà erano soltanto spazzatura.
Le indagini sono state avviate nel giugno del 2020 dopo la denuncia di due bulgare nei confronti di una straniera che pretendeva pagassero a lei il cosiddetto ‘joint’, lo spazio che occupavano in strada, vicino alla stazione ferroviaria di Catania, dove erano solite prostituirsi.
Gli accertamenti dei poliziotti della sezione Criminalità straniera e Prostituzione, hanno permesso di accertare che le vittime, dopo il ‘reclutamento’, erano alloggiate in abitazioni fatiscenti nel quartiere San Cocimo. le abitazioni erano contraddistinte da pessime condizioni igieniche.
Le ragazze, prive dunque di ogni libertà e dei documenti di identità, venivano sfamate con il minimo indispensabile; i papponi davano loro da mangiare porzioni ridotte all’osso e quasi soltanto patate, giusto per farle sopravvivere.
Le vittime garantivano al gruppo criminale un introito costante di circa 1.400 euro a settimana ciascuna.
Le ragazze, sottoposte a percosse e soprusi, erano costrette a prostituirsi ogni giorno dalle 19 alle 4:30. Anche durante le restrizioni imposte dalla pandemia l’attività non si placava.
Sequestrato, da parte degli agenti di polizia, materiale informatico, denaro e telefonini.