Rosalia chiedeva a Fefè quale fosse il vero scopo della vita. La sua intera esistenza ruotava intorno al barone Cefalù, e dunque la risposta non poteva che essere “amare”. Rosalia bruciava d’amore per Ferdinando detto Fefè. Lui non più. Ed era scocciato, esasperato dall’assillante moglie. Il desiderio di Fefè adesso era indirizzato alla cugina Angela, nel fior fiore della gioventù.
Come fare? E qui entra in gioco il “divorzio all’italiana” fotografato da Pietro Germi nel 1961: il delitto d’onore in Italia, e soprattutto in Sicilia, era una rapida soluzione. Scoperta la donna tra la braccia dell’amante, il marito avrebbe potuto ucciderla beneficiando della legge 587 del Codice Rocco. Un consistente sconto di pena per un uomo ferito dall’offesa all’onore arrecato da una donna della famiglia.
Nella finzione cinematografica, almeno per un momento, la situazione si ribalterà: è la moglie di Carmelo Patanè l’amante di Rosalia a vendicare il proprio onore di donna, mai riconosciuto dalla Legge e dalla società. Così Ferdinando, imitandone le gesta, ucciderà Rosalia rientrando perfettamente nello schema sociale che la Sicilia pretende.
Come diceva Leonardo Sciascia “la Sicilia è un modo d’esser” e Luigi Pirandello ne era stato portavoce indiscusso raccontando l’insicurezza degli uomini siciliani, i quali non erano riusciti a sfuggire dalla fobia del sesso trasmessa dalla religione cattolica, maturando così quell’atteggiamento di sottomissione delle donne prima ai padri, poi ai fratelli, dopo ai mariti e infine anche ai figli.
Neanche l’ombra del rimorso
Nella novella “La verità”, Pirandello racconta la storia di Saru Argentu detto “Tararà” il quale spacca la testa alla moglie, uccidendola, dopo averne scoperto il tradimento. Quando il presidente della Corte d’Assise tenta di comprenderne le ragioni, Tararà afferma di averla uccisa «perché non ne ho potuto far di meno, ecco».
Lui, pover’uomo di campagna, ha svolto il proprio dovere di marito ed ha difeso l’onore di uomo: «L’uomo è uomo, Eccellenza, e le donne sono donne. Certo l’uomo deve considerare la donna, che l’ha nel sangue d’essere traditora».
Il tradimento è la colpa più grave che possa pesare su una donna, il cui anello al dito ne ha segnato la proprietà esclusiva del marito. E non vi è altro rimedio che la morte.
In “Certi Obblighi” Quaquèo, il protagonista, invece è a conoscenza del tradimento della moglie ma vittima della propria immobilità non si mostrerà mai turbato. Sarà la gente del paese, invece, a spingerlo a rivendicare il proprio onore perchè «certi obblighi si hanno. Non si vorrebbero avere, ma si hanno. Un marito può benissimo in cuor suo non curarsi affatto dei torti della propria moglie. Ebbene, nossignori, ha l’obbligo di curarsene. Se non se ne cura, tutti gli altri uomini e finanche i ragazzi glielo rinfacciano e gli dànno la baja». Alla fine non sarà necessario riscattare il proprio onore perchè l’amante della moglie è proprio il suo Superiore. E dunque la priorità per Quaquèo sarà l’apparenza più che la sostanza. Pirandello aveva già rovesciato le leggi scritte e non che regolavano la Sicilia, il cui presente è fin troppo dipendente dal passato.