Tra i luoghi della nostra Isola che ospitano leggende e che sono avvolti da tanto mistero c’è anche il castello Manfredonico di Mussomeli, nel Nisseno. Costruito tra 1364 e 1367 da Manfredi III di Chiaramonte, conte di Modica, dal quale prende il nome, al suo interno ospita più di una leggenda.
Le leggende presenti all’interno del castello
Una di queste leggende è legata alla Baronessa di Carini, Laura Lanza, della quale abbiamo già parlato, per la quale si racconta che si rifugiò a Mussomeli dopo aver ucciso la figlia. Un’altra parla delle tre sorelle Clotilde, Costanza e Margherita, che vennero rinchiuse dal fratello Federico, partito in guerra, e che al suo ritorno vennero trovate morte di fame con le scarpe in bocca. La terza infine riguarda il soldato Guiscardo, ucciso per amore.
Federico ha ritrovato le sorelle morte dopo la guerra
Ma molti si chiederanno cosa ci sia dietro a queste leggende e la risposta arriva dal custode del castello, Pasquale Messina, intervistato anche dal compianto Fabrizio Frizzi a I Fatti Vostri su Raidue nei primi anni 90. Il suo racconto parte dalla storia delle tre sorelle.
«Secondo la leggenda le tre sorelle furono rinchiuse – afferma Messina – dal fratello Federico, che doveva partire per la guerra e che era molto geloso. Non sapendo a chi lasciarle in custodia ha pensato di chiuderle nella stanzetta triangolare. Ha lasciato dei viveri sufficienti per un periodo di tempo entro il quale lui pensava di tornare, ma la guerra si è prolungata e al ritorno, dopo averle smurate, le ha trovate morte di fame con le suole delle scarpe in bocca. Quando è arrivato un messaggio da parte del re per partecipare alla guerra Federico fece una festa con i nobili e durante la cena si accorse di certi sguardi tra le sorelle e alcuni giovani presenti. Ha detto anche che al suo ritorno le avrebbe fatte sposare».
Da chi fu uccisa la Baronessa di Carini?
Riguardo invece alla Baronessa di Carini non fu il padre a ucciderla, ma furono «il marito e l’avvocato Grimaldo, o Grimaldi, che era l’anima nera del viceré. Il marito Vincenzo La Grua nacque nel 1527, l’amante Ludovico Vernagallo nel 1528 e Laura nel 1529. Tutti e tre da piccolini studiavano da un unico precettore a Palermo e già da allora ci furono sguardi d’intesa tra Laura e il Vernagallo. La famiglia di quest’ultimo aveva un piccolo terreno dentro a quello dei La Grua e dopo 2-3 anni si fece una festa nel castello di Carini nella quale furono invitati tutti i nobili. Ma nella stanza adiacente venne combinato il matrimonio con Vincenzo La Grua dai rispettivi padri, annunciato ai ragazzi in seguito. Il Vernagallo ci rimase male, cadde in depressione e venne mandato a Roma e a Milano per affari».
La relazione con Ludovico Vernagallo
La relazione con il Vernagallo non era affatto casuale e il legame con La Grua era del tutto combinato dalle rispettive famiglie.
«Per quattro anni dal momento in cui era avvenuto il matrimonio la Baronessa fu triste e al ritorno del Vernagallo, che era molto cambiato, si fece una festa nel castello di Carini, durante la quale la Baronessa cominciò a essere più allegra. Quando il Vernagallo arrivò a Carini venne assalito dai briganti e lasciato a terra moribondo. La Baronessa lo curò e quando si riprese cominciarono a frequentarsi, ma dopo 8-10 anni il marito mandò un frate del convento a Mussomeli perché voleva che questa relazione finisse non ottenendo però alcuna risposta. La seconda volta la figlia disse al padre Cesare di farsi gli affari suoi e quando morì il figlio 13enne dei La Grua il padre andò a Palermo dal viceré, portò dei soldi per eliminare questi amanti».
L’inganno per Cesare
«Si fece una riunione nella casetta di campagna della Baronessa e a quest’ultima vennero in mente le visioni di quando era piccola, in particolare l’amore del padre verso di lei. Dopo attimi di tensione l’avvocato Grimaldo disse a Cesare di andare a Mussomeli con metà dei suoi uomini, ma ingannò Cesare e quando uscirono dal castello di Carini urlarono dicendo che Cesare Lanza aveva ucciso la figlia con l’amante. Da quel momento la storia è stata tramandata».
«Il padre del Vernagallo venne ricattato firmando un atto di vendita di un terreno per riavere il corpo del figlio. Gli uomini di Cesare hanno avvolto il corpo di Laura in un mantello con lo stemma dei Lanza, sono andati a Isola delle Femmine, dove hanno preso una barca e hanno portato la Baronessa da dove gli aveva detto Cesare. Io per via dei documenti che ho avuto dai Lanza sono riuscito a ricostruire questa storia».
L’incontro del custode con Guiscardo
Nel 1975, quando aveva 21 anni, Messina ha avuto però anche un incontro con il soldato Guiscardo, nel momento in cui accompagnava le persone fuori.
«Quel giorno faceva caldo e andai a sedermi vicino a una finestra. All’improvviso arrivò un’aria gelida e mentre mi alzavo sentii una voce che mi diceva ‘Non avere paura, sono un amico’. Pensai che era uno scherzo, ma vidi una nube dalla quale usciva una voce per tranquillizzarmi e le ultime parole che mi rimasero impresse furono ‘Non dire niente a nessuno sennò non mi vedrai più’. Una mattina aprii il secondo portone sopra e vidi di nuovo la nube. In seguito si andava formando il volto di questo giovane, che mi indicava con la mano da sotto il mantello di andarmi a sedere sotto la finestra».
L’amicizia tra Pasquale e Guiscardo
Tra Pasquale e il fantasma di Guiscardo ha avuto inizio un’amicizia, ma anche la storia del soldato ha una sua importanza.
«Da allora è cominciata un’amicizia con lui, che mi ha raccontato che da vivo si chiamava Guiscardo De la Portes e che era nato vicino Madrid il 25 aprile 1370, figlio di un ricco mercante spagnolo. Dopo una formazione da frate venne mandato al seguito di Re Martino per prendere possesso della Sicilia. Una sera era con due amici, Alvaro e Domingo, e incontrarono una ragazza, che si chiamava Esmeralda, e si innamorarono subito. La ragazza era pretesa da un altro signorotto, ma lui era talmente innamorato che andò a casa di lei, parlò con il padre di lei e decisero di sposarsi».
L’incontro fatale di Guiscardo con i soldati spagnoli
«Quando arrivarono a Palermo e fu decapitato Andrea Chiaramonte, prese un permesso per allargare gli orizzonti commerciali del padre in Sicilia. Quando arrivò vicino al castello vide quattro soldati spagnoli, scappò, sbatté la testa contro un ramo d’albero e svenne ritrovandosi con il femore rotto. In seguito capì che il signorotto pretendente di sua moglie che voleva farlo morire».