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Gela, il problema dell’inquinamento va affrontato a 360 gradi

L'inquinamento nell'area del polo industriale di Gela, una problematica che coinvolge diversi aspetti

di Giuliano Spina
04/11/2025
in News
Gela, il problema dell’inquinamento va affrontato a 360 gradi

Credits photo Lindbergh Hotels

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Tra le aree della nostra Isola nelle quali da tanti anni si cerca di far convivere la natura e la biodiversità con il rispetto delle norme dell’ambiente e della qualità dell’aria c’è anche l’area del polo industriale di Gela. Quest’ultimo nacque nel 1963 per iniziativa di Enrico Mattei per sfruttare il petrolio greggio che vene scoperto, oltre che nel comprensorio gelese, anche nel Ragusano e in diverse parti del Mediterraneo.

Alcuni cenni storici sul polo industriale

Ma dopo i primi anni in cui si registrò una produzione notevole a partire dagli anni ’70 alcuni impianti vennero dismessi a causa della crisi mondiale del settore petrolifero e cominciò un declino culminato nel 2007, con la chiusura dell’ultimo impianto produttivo di tipo chimico.

Nel 2016 partì un’opera di riconversione della raffineria Eni in bio raffineria, che fu completata tre anni dopo e che prevede ulteriori interventi per il suo potenziamento. Nonostante ciò però a Gela i problemi riguardanti la bonifica dell’area continuano a persistere, in particolar modo per la Riserva Naturale del Biviere di Gela, una zona umida a poca distanza dal centro abitato.

Ancora rifiuti nell’area

Qui infatti la bonifica si attende da trent’anni, ma ancora l’area è contaminata da rifiuti industriali, metalli pesanti e anche da sostanze inquinanti provenienti dalle attività agricole. A mostrare il quadro è il direttore della Riserva Naturale del Biviere di Gela, Emilio Giudice, che parte da una premessa.

«Facendo un passo indietro – afferma Giudice -. I siti vengono come importanti per la bonifica nel 2000, ma nel 1995 era accaduto un altro evento, a seguito del quale lo Stato preparò un Piano di Risanamento Ambientale per tre Comuni: Gela, Niscemi e Butera. Questi altri due centri erano coinvolti perché avevamo una centrale termica dalla quale i fumi uscivano e arrivavano fino a lì. Lo Stato ai tempi controllava anche l’Eni e la situazione fu difficile da gestire dagli anni ’80 in poi, quando emersero le problematiche ecologiche, ambientali e di salute. Il Ministero Superiore della Sanità fece degli studi, dai quali emerse la necessità di dover risanare i territori. Lo Stato fece il mea culpa e il Piano di Risanamento rappresentò la decisione dello Stato di poter intervenire in queste aree, anche nella parte urbana, per le fogne e per le aree naturali».

Interesse focalizzato solo sulla bonifica

In questo Piano si stabilirono dei parametri per portare Gela alla normalità, ma in seguito «tutto questo venne dimenticato e tutto l’interesse si è focalizzato sulla bonifica. Le autodichiarazioni di inquinamento servono a evitare un processo penale e a presentare un piano. La raffineria ne presentò uno per tutta l’area industriale di oltre 500 ettari situata su sabbie, paludi e mare. Così tutto ciò che si riversava nel suolo finiva nella falda e poi al mare. La messa in sicurezza è fatta solo per impedire la contaminazione delle falde, in quanto si isola l’area, si copre, ma il rifiuto non viene tolto. Ma la raffineria presentò un progetto di bonifica e quindi si presume che l’inquinamento dovesse essere tolto per evitare la contaminazione del mare».

Il processo di depurazione delle acque

Un processo di depurazione anomalo, perché tutto questo venne fatto attraverso la costruzione di  «una barriera a sud della raffineria e che non arriva in profondità fino alle argille. Così prendevano tutto ciò che galleggiava nell’acqua per poterlo depurare, recuperare i materiali e depurare le acque, che invece vengono riutilizzate. L’acqua rientra in questo territorio, si inquina e viene tirata per essere pulita, un processo che dura da oltre vent’anni. Inoltre il progetto prevedeva una serie di pozzi in cui si mettevano delle pompe a tirare acqua in continuazione. In questo modo si impedisce che l’acqua della falda finisce a mare. Ma quando piove non si riesce a trattenere il tutto».

Il risultato di una serie di studi

L’ecosistema marino va salvaguardato, in quanto il mare è un luogo produttivo, «ma questo non è stato fatto né dall’Ispra né dall’Arpa e noi nel 2021, quando abbiamo saputo del gasdotto che Malta vuole fare arrivare a Gela, abbiamo fatto fare una serie di studi marini dai quali è emerso che l’ecosistema davanti alla raffineria è in grande sofferenza per via della presenza di metalli pesanti, come l’uranio, che sono radioattivi. La discarica presente lì vicino è stata soltanto tombata e questo materiale non verrà tolto da nessuno. Nessuno sta vedendo quando l’inquinamento ha inciso sull’ambiente».

L’erosione costiera

A completare il quadro è il problema dell’erosione costiera e «noi lì abbiamo un pontile di 2 chilometri e mezzo dove c’è una diga nella quale le navi attraccano per scaricare materiale, ma abbiamo solo 9 metri di fondale. Il pontile favorisce l’erosione da un lato perché interferisce sulle correnti. Anche l’agricoltura con le serre, e quindi con le plastiche, inquina completando il quadro. L’inquinamento va guardato facendo caso a questa sommatoria. Abbiamo diverse normative e, anche se il territorio viene dichiarato bonificato ai sensi della legge nazionale, ai sensi di altre norme come quelle europee quel territorio risulta sempre inquinato. Noi andremo sotto procedura di infrazione e chi inquina invece non paga».

Tags: ambienteEcosistema MarinonaturasiciliaSostanze
Giuliano Spina

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