Fino a pochi anni fa l’idea che un romanzo potesse nascere da una collaborazione tra uomo e intelligenza artificiale sembrava fantascienza. Oggi, invece, è una realtà quotidiana. ChatGPT e i suoi “fratelli” digitali non sono più soltanto strumenti di lavoro o assistenti virtuali: sono diventati coautori silenziosi, compagni di scrittura che affiancano gli autori umani nella creazione di trame, personaggi, poesie, dialoghi.
Quello che all’inizio sembrava un gioco tecnologico ora è un fenomeno culturale che sta ridisegnando l’idea stessa di “scrivere”. Sempre più autori , dai self-publisher ai premi letterari, dichiarano di aver utilizzato l’IA come supporto creativo. Alcuni lo fanno apertamente, altri invece lo celano dietro un velo di ambiguità. E così il confine tra arte umana e artificiale si fa ogni giorno più sottile, più sfumato, più provocatorio.
Quando l’IA entra nella narrativa
Uno dei primi casi che ha acceso il dibattito è stato quello di Ammaar Reshi, un designer che nel 2023 pubblicò in un solo weekend Alice and Sparkle, un libro per bambini scritto con ChatGPT e illustrato con Midjourney.
L’opera, nata in meno di 72 ore, divenne virale non tanto per la qualità della storia quanto per la domanda che sollevava: quanto vale ancora il tempo nella creazione artistica?
Poco dopo, Tim Boucher, scrittore e ricercatore canadese, annunciò di aver pubblicato oltre 120 libri generati in parte con l’IA in meno di un anno. Alcuni lo accusarono di “industrializzare la creatività”, altri lo considerarono un anticipatore di una nuova forma di letteratura automatizzata. Ma il caso più emblematico è arrivato dal Giappone, quando Rie Qudan vinse un prestigioso premio nazionale dichiarando di aver usato ChatGPT come co-autore del suo romanzo. Lungi dall’essere penalizzata, Qudan venne lodata per aver “trovato un equilibrio tra intuizione umana e logica artificiale”.
Perché gli scrittori lo fanno
Dietro l’uso dell’intelligenza artificiale non c’è solo la voglia di stupire. C’è il desiderio di sperimentare un nuovo linguaggio, di dialogare con uno strumento che restituisce infinite possibilità narrative. Molti autori, soprattutto giovani, usano ChatGPT per superare il blocco dello scrittore, per sviluppare personaggi o immaginare intrecci alternativi. In un certo senso, l’IA è diventata una musa ibrida, capace di fornire stimoli immediati e suggerimenti imprevedibili.
Per la Generazione Z, cresciuta in un mondo dove la tecnologia è parte della quotidianità, scrivere con un’intelligenza artificiale non è un tradimento dell’arte, ma un’estensione naturale della propria creatività.
È un modo per esplorare, per accelerare, per testare le proprie idee con un interlocutore che risponde in tempo reale. Molti giovani autori, infatti, non vedono l’IA come sostituto, bensì come specchio: un riflesso delle loro intuizioni, da cui prendere ciò che serve e scartare il resto.
I rischi nascosti
Eppure, dietro la velocità e l’efficienza, si nasconde un prezzo. Usare l’IA per scrivere può diventare una dipendenza sottile, una delega progressiva della propria voce. Più la macchina suggerisce, più l’autore rischia di smarrire il proprio ritmo, la propria visione, il proprio errore umano: quello scarto che rende unica ogni pagina.
C’è poi il problema dell’omologazione narrativa. Le intelligenze artificiali si basano su enormi archivi di testi preesistenti: romanzi, articoli, dialoghi, pattern linguistici. Questo significa che, per quanto sofisticati, i loro output tendono a riprodurre ciò che già esiste. Il risultato? Storie sempre più perfette, ma anche più prevedibili. Una letteratura senza inciampi, ma forse anche senza anima.
E non finisce qui perché sul piano etico e legale, il tema è ancora più complesso. Chi detiene il diritto d’autore di un testo generato in parte da un algoritmo? E il lettore, non ha diritto di sapere se ciò che legge è stato scritto da un essere umano o da una macchina? Alcune piattaforme, come Amazon KDP, oggi impongono agli autori di dichiarare se l’opera è stata “AI-assisted” o “AI-generated”, ma il confine resta labile e facilmente aggirabile.
L’IA come strumento, non come autore
C’è però un altro modo di leggere il fenomeno. Forse la vera rivoluzione non è che l’IA scriva al posto nostro, ma che ci costringa a ripensare il nostro modo di scrivere. L’intelligenza artificiale può diventare un laboratorio creativo, uno spazio di prova dove testare idee, costruire bozze, giocare con le parole. La differenza, come sempre, sta nell’uso che ne facciamo.
Gli scrittori che usano ChatGPT con consapevolezza non gli affidano la penna, ma lo trattano come un collaboratore di brainstorming. E in questo dialogo nasce qualcosa di nuovo: una forma di scrittura in cui la macchina amplifica, ma non sostituisce, la sensibilità umana.








