Da settimane il dibattito sulla separazione delle carriere dei magistrati viene raccontato come uno scontro tra indipendenza della giustizia e rischio di controllo politico. Ma è davvero così? O stiamo semplificando una questione che nasce molto prima, nella struttura stessa del nostro processo penale?
Evoluzione verso il modello accusatorio
Prima di esporre una valutazione della legge che dispone la separazione delle carriere dei magistrati del P.M. da quelle dei magistrati giudici, appare opportuno premettere che in Italia la disciplina del processo penale si è evoluta verso il modello accusatorio, dopo aver previsto per molti anni il processo inquisitorio.
In quest’ultimo, il giudice emetteva la sentenza sulla base delle prove e degli elementi di indagine raccolti dal P.M., realizzando così una sorta di affinità tra le due funzioni. Questa commistione trovava il suo culmine nella figura del Pretore, organo dotato di duplice funzione di indagine e di giudice, figura poi abrogata con la legge n. 51 del 19 febbraio 1998.
Non appare pertanto strano che gli organi aventi funzione di indagine e accertamento dei reati (P.M.) e quelli aventi funzione giudicante costituissero un unico ordinamento, con il medesimo organo di autogoverno, il Consiglio Superiore della Magistratura.
L’introduzione del processo accusatorio
Nel 1989 è stato introdotto in Italia il processo accusatorio, in parallelo con l’abrogazione della figura del Pretore.
Un modello ispirato ai principi del common law, nati in Inghilterra e oggi diffusi nella stragrande maggioranza degli Stati moderni.
Il processo accusatorio si fonda sul contraddittorio delle parti dinanzi al giudice. È dinanzi a un giudice terzo e imparziale che devono essere raccolte le prove portate dall’organo dell’accusa e quelle proposte dal difensore dell’imputato.
In questa nuova dimensione del processo penale appare anomalo che il giudice, quale organo terzo e super partes, si collochi accanto al pubblico ministero, che svolge una funzione di parte analoga a quella del difensore dell’imputato.
Le anomalie
Appare quindi illogico travolgere la diversità delle funzioni consentendo il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante, e viceversa. Ancora più anomalo risulta il fatto che il giudice e una delle parti processuali appartengano alla medesima associazione.
Ciò avviene quasi come se fossero comuni le esigenze delle rispettive posizioni, a prescindere dal fatto che la confluenza associativa, unita alla presenza delle correnti, abbia creato un centro di potere quasi assoluto dell’Associazione Nazionale Magistrati.
A questo fenomeno non è estranea la predisposizione di liste di candidati al CSM da sottoporre all’intero corpo dei magistrati, chiamati di fatto a votare nominativi già selezionati (scandalo Palamara docet).
Ciò premesso, non appare corretto ritenere che la separazione delle carriere dei magistrati costituisca uno strumento volto a realizzare, o anche solo a preparare, una subordinazione delle procure al potere politico.
Attualmente magistrati requirenti e giudicanti costituiscono un unico ordinamento autonomo, con un unico organo di autogoverno, il CSM.
La legge sulla separazione delle carriere prevede invece lo sdoppiamento di questo ordinamento in due distinti e autonomi ordinamenti, ciascuno dotato di un proprio CSM.
Le ambiguità
Non si vede come tale sdoppiamento, che crea due ordinamenti autonomi anziché uno solo, possa favorire una subordinazione dell’organo inquirente al potere esecutivo.
Appare poi inconducente l’obiezione di taluni oppositori secondo cui la separazione delle carriere non comporterebbe un miglioramento della giustizia. È vero, ma va ricordato che le deficienze dell’amministrazione della giustizia dipendono da fattori estranei alla separazione delle carriere. La giustizia resterebbe quella attuale, con tutti i suoi difetti, sia che la separazione venga approvata, sia che venga respinta.
Non sembra invece essere stato sufficientemente evidenziato come la nuova legge abbia affidato l’elezione dei membri dell’organo di autogoverno al mero sorteggio, senza prevedere per i candidati requisiti formali quali le funzioni espletate o la loro durata.
Parimenti, la creazione di un’Alta Corte di Giustizia in materia disciplinare non appare giustificata, posto che tale funzione avrebbe potuto e dovuto essere affidata ai rispettivi Consigli di Presidenza.
Nonostante queste incongruenze, la legge merita un sì al prossimo referendum. Il processo penale, come quello civile, ha infatti per oggetto diritti soggettivi e, talvolta, la stessa libertà dei cittadini. Diritti che possono essere garantiti solo da un giudice realmente terzo e imparziale, non legato in alcun modo a una delle parti.
Per queste ragioni, va ribadita la necessità di rispondere “sì” al referendum.
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Giuseppe Foti
Già magistrato, ha ricoperto nel corso della sua carriera le funzioni di giudice e di pubblico ministero, operando come requirente negli anni più complessi della storia giudiziaria italiana, durante il periodo degli anni di piombo a Catania.
È stato Pretore ad Acireale, giudice presso la Corte d’Appello di Catania e giudice tributario alla Commissione Tributaria di Catania (oggi Corte di Giustizia Tributaria). Ha inoltre svolto il ruolo di Presidente dell’UREGA di Catania, l’ufficio regionale preposto alla valutazione degli appalti pubblici.
La sua esperienza attraversa entrambe le fasi del processo penale italiano, avendo operato sia nel sistema inquisitorio sia in quello accusatorio, maturando una conoscenza diretta e concreta delle differenze strutturali tra i due modelli.