Nelle ultime settimane la storia dell’archeologia siciliana si è arricchita di una nuova pagina, quella relativa all’origine dei Bronzi di Riace, che sarebbe stati rinvenuti nei fondali del borgo marinaro di Brucoli ad Augusta. Secondo una teoria diffusa le statue sono rimaste per secoli nei fondali di Brucoli per poi essere ritrovate, dopo essere state trafugate e nascoste, nel 1972 nei pressi di Riace, in provincia di Reggio Calabria.
Gli studi recenti
In queste settimane un team di ricercatori guidato dal professore Rosolino Cirrincione, ordinario di Petrologia e Petrografia all’Università degli Studi di Catania, e dal medico appassionato di archeologia Anselmo Madeddu sta portando avanti degli studi riguardanti l’origine siciliana delle famose statue.
Madeddu ha spiegato in primis a quando risale l’ipotesi riguardante l’origine siciliana delle statue e come si parli sempre più spesso di un caso di archeomafia.
«Il primo a parlare di un ritrovamento nelle acque siciliane – ha detto Madeddu – fu l’archeologo americano Robert Ross Holloway, che alla fine degli anni ’80 scrisse che queste statue sarebbero state trovate lungo la costa ionica siciliana e trasportate in seguito da delle organizzazioni di archeotrafficanti in Calabria per poi essere vendute all’estero. Qualcosa però andò storto e queste statue furono ritrovate da alcun turisti nei fondali di Riace, che sarebbero state utilizzate a loro volta come una sorta di nascondiglio clandestino delle statue».
Le parole dei testimoni
Ma in seguito ci sono stati degli aggiornamenti riguardo a questa storia, in quanto «una serie di testimoni sta rivelando questa storia di archeomafia. Sono al momento otto persone, secondo le quali le statue sarebbero state ritrovate alle fine degli anni ’60 nelle acque di Brucoli a una profondità compresa tra i 70 e gli 80 metri da alcuni palombari che poi le avrebbero vendute a degli archeotrafficanti calabresi. L’indagine condotta da me e dal professore Rosolino Cirrincione, direttore del Dipartimento di Geologia dell’Università di Catania, si avvale della collaborazione di 15 studiosi, appartenenti alle Università di Ferrara, Bari, Cagliari, Pavia e della Calabria. Ci sono specialisti di diverse discipline affini all’archeologia».
Cosa è emerso finora dalle ricerche?
Dalle ricerche finora effettuate è emerso che «le terre con le quali i bronzi vennero saldati, che si trovano nelle giunture delle fusioni, provengono da un’antica cava d’argilla di epoca classica che si trova nei pressi nel fiume Anapo a Siracusa. Le terre dei modelli di terracotta rimaste interne alle singole sezioni, indicative del luogo in cui le singole sezioni vennero prodotte, sono invece originarie di Sibari».
«Una scuola di archeologia francese ha osservato che le terre con le quali è fatta la famosa Auriga di Delfi sono originarie di Sibari, dove teneva il suo atelier il grande scultore Pitagora da Reggio. Questo probabilmente vennero commissionate dai tiranni di Sicilia e che in seguito furono commissionate allo scultore di corte prediletto e che sicuramente era Pitagora da Reggio. Queste statue quindi dopo essere state commissionate dalla Sicilia sarebbero state eseguite a singoli pezzi separati nelle officine di Sibari da Pitagora da Reggio e poi assemblate e installate a Siracusa, in cui era presente la commissione».
Il tragitto via mare interrotto
Le statue rimasero a Siracusa per tre secoli e in seguito «sarebbero state portate a Roma e nel tentativo di portarle lì, quando nel 212 a.C. venne conquistata dai Romani, lo storico Tito Livio raccontò che il console romano Marcello portò a Roma su delle navi tutte le più belle statue in bronzo della città. Sembra che durante il tragitto però una tempesta fece naufragare la nave su cui viaggiavano i bronzi. Quindi il luogo più indicato sarebbe proprio Brucoli in base a quanto raccontato dai testimoni».
«Ma non finisce qui perché gli stessi testimoni raccontano che le statue erano cinque ed erano tre guerrieri e altre due statue di un soggetto ignoto. L’ottavo testimone avrebbe raccontato che una di queste statue sarebbe il famoso Apollo di Cleveland. Queste statue vennero portate in Calabria per poi essere vendute all’estero, ma solo tre di queste vennero vendute, mentre le altre due non furono vendute e vennero scoperte nei fondali di Riace da un turista romano».
Le indagini specifiche
Le indagini sono state effettuate «sulle concrezioni marine presenti sulla superficie delle statue e sulle patine di corrosione presenti perché i segni lasciati dall’habitat possono fare capire in che tipo di fondale sono state ritrovate. Abbiamo scoperto come le patine di solfuro di rame riscontrate sulla superficie, grazie ad analisi effettuate, si formino solo in casi di scarsezza di ossigeno. Abbiamo riscontrato una crosta calcarea di coralligeno che si forma solo a 70 metri di profondità e dei serpulidi che vivono solo a quelle profondità».
«Sulla superficie più esterna sono state ritrovate patine di cloruro di rame e strati di ghiaia e sabbia tipici dei fondali di Riace molto più recenti, quindi di inizio 1972. Questo fa capire come le statue siano state per 2mila anni in un fondale completamente diverso da quello di Riace e che poi siano state per qualche mese nei fondali di Riace, che sono molto corrosivi. Tutto questo fa capire come quanto raccontato dai testimoni sia plausibile, così come anche le ipotesi relative agli archeotrafficanti».
I prossimi step della ricerca
Le ricerche comunque non si fermano certo qui, perché «noi abbiamo avuto un incontro con il direttore del Dipartimento dei Beni Culturali per chiedere la possibilità di continuare queste ricerche prelevando altre concrezioni che si trovano sui perni rimasti attaccati sotto ai piedi, per fare delle analisi sulle terre di fusione interne a un braccio restaurato nell’antichità nel bronzo B e per fare delle ulteriori analisi con strumenti non invasivi per analizzare la lega metallica di queste statue. Questi primi studi fatti ci portano verso la verità».
«Gli studi ci hanno fatto capire come questa statue sarebbero state realizzate in un’officina di Sibari, installate a Siracusa e poi portate via durante il sacco della città nel 212 a.C., affondate nella zona a largo di Brucoli durante il tragitto a Roma, vendute dopo 2mila anni dai palombari agli archeotrafficanti e poi nascoste nei fondali di Riace negli ultimi 4-5 mesi. La Soprintendenza del Mare regionale sta per avviare un’indagine sottomarina, la verità al 90 % è stata ricostruita, anche se le statue non verranno rimosse da Reggio Calabria».