Da dove viene l’idea di Trump, di reintrodurre le barriere doganali? Verisimilmente da Steve Bannon, fondatore del raggruppamento di partiti di estrema destra nel mondo, The movement. Ma, a fermarci alla constatazione non si riuscirebbe a spiegare quello spaccato del mondo americano, in questa fase al centro della scena, per una serie di provvedimenti a rischio, tali da trascinare l’Occidente verso la deriva.
In pochi hanno letto Project 2025, il piano varato dalla Heritage foundation, think tank statunitense, un mattone di oltre 900 pagine, il cui contenuto riguarda la ridefinizione, in chiave autoritaria, del ruolo istituzionale del governo degli Stati Uniti. Niente di nuovo, giacché il documento forza l’interpretazione del secondo articolo della Costituzione, riguardante i poteri del presidente, già utilizzata negli anni Ottanta da Ronald Reagan, quarantesimo capo di stato, accentuandone gli aspetti in chiave accentratrice.
Nel programma aggressivamente reazionario, abolizione dell’aborto, limitazione dei contraccettivi, diminuzione delle prestazioni della sanità pubblica, eliminazione dei diritti delle minoranze, negazione dei cambiamenti climatici, lotta all’immigrazione e deportazione dei clandestini, taluni capitoli sono dedicati all’economia. Tra i provvedimenti, appunto, i dazi. Alla base, la velleità di fermare la globalizzazione. Ma dietro i vetri opachi dell’affermazione l’obiettivo è il MAGA, Make America Great Again (Rendiamo l’America di nuovo grande).
Dove prendere i soldi per l’ambizioso progetto?
Wow! Cominciamo dai dazi, sembra abbia esclamato Trump. Naturalmente, il presidente in carica smentisce di essere l’esecutore di Project 2025, ma l’affermazione equivale a negare la sfericità della terra, in ragione della dipendenza del capo dell’amministrazione dai finanziamenti dei gruppi di pressione ebrei-americani, sotto influenza dei quali si muove l’intero establishment statunitense. Nel pieno dei fiumi di denaro, stanziati per la campagna elettorale di Trump, dunque non ci stanno al primo posto i turbocapitalisti alla Elon Musk, bensì le lobby pro-Israele e, in secondo battuta, gli 80 milioni di seguaci battisti.
E, dunque?
Nel creare il caos, tattica consigliata da Warren Buffet, investitore di professione, la finalità consisteva nell’apparecchiare il terreno alle speculazioni in borsa. Dichiarare l’imminenza dell’entrata in vigore dei dazi per negarne, immediatamente dopo, l’applicazione. Manovra già attuata ha portato nelle tasche, chissà di chi, diversi miliardi di dollari.
In che modo spiegare le finalità della tassazione delle merci esportate negli Usa?
Con l’esclamazione di Trump, il quale non avendo risorse per incrementare gli armamenti e per la rinnovata corsa nello spazio, di quest’ultimo argomento parleremo prossimamente, attingerà alle entrate delle tasse doganali per riprendere, a suo giudizio, la leadership americana nel mondo.
Di ricadute positive sulle industrie e il commercio oltreoceano, non si può parlare, giacché le produzioni dell’agroalimentare e del comparto vitivinicolo americano non reggono il passo degli esportatori italiani e francesi. Nondimeno, il 15% imposto, sta creando danno alle imprese europee, senza apportare vantaggio alla concorrenza statunitense. Peggio per acciaio e derivati, giacché il 15% nominale è attestato sul 25,5% reale, costringendo, le ditte a ritirare dalla dogana le forniture già partite per le destinazioni oltreoceano.
Si aggiungano gli svantaggi derivanti dai dazi sia per i consumatori americani, pagheranno di più le merci, quanto per la middle class, penalizzata dall’amministrazione a causa dell’aumento dell’inflazione. Non a caso la Federal Reserve paventa la recessione. Al riguardo, soccorre la terza legge fondamentale della stupidità umana di Carlo Cipolla, secondo la quale la persona è stupida se arreca danno agli altri senza trarne vantaggio, anzi subendone una perdita.