C’è una sensazione precisa che nasce quando ci si ferma davanti a Visiting Positano, pezzo unico firmato da Miljenko Bengez — scoperto esplorando, tra quadri, cornici e visioni, la collezione della Corniceria Brera: è quella di entrare in un ricordo che non ci appartiene, eppure sentiamo stranamente nostro. È un quadro che non raffigura: evoca. Non racconta la realtà, ma la riprogetta emotivamente, con la leggerezza di un sogno lucido.
Le case di Positano sembrano sciogliersi nel mare come zucchero in una bevanda estiva. Le linee architettoniche si curvano e si intrecciano in una danza cromatica che non vuole imitare il vero, ma trasformarlo. È qui che si riconosce la mano di Bengez, artista croato dalla formazione rigorosa, ma dallo sguardo immaginifico, capace di fondere tecniche solide e visioni quasi metafisiche.
Bengez non ha bisogno di mimesi per coinvolgere lo spettatore. La sua idea di pittura si muove su un altro piano: quello dell’emozione immediata, della sintesi lirica, dell’evocazione. Le sue città non sono mappe, ma stati d’animo architettonici. I colori non seguono il naturalismo, ma la memoria sensoriale. Le composizioni sono dinamiche, giocate su prospettive multiple, talvolta invertite, e su cromatismi accesi che restituiscono la vitalità di un immaginario mediterraneo fuori dal tempo.
Un’arte che sovrappone emozioni e prospettive
Miljenko Bengez ha costruito nel tempo un linguaggio pittorico complesso e profondamente riconoscibile. Come ha sottolineato la storica dell’arte Iva Körbler, ogni sua tela è una sovrapposizione di piani, un montaggio mentale di luoghi e tempi diversi. Non dipinge un singolo istante, ma un’intera costellazione di esperienze. L’architettura nei suoi dipinti è viva, non più sfondo, ma soggetto, e talvolta sostituisce le figure umane diventando portatrice di narrazione.
Il critico Giorgio Seveso lo definisce un pittore che ha raggiunto una piena libertà linguistica, capace di giocare con prospettive verticali, orizzontali, inverse e cromatiche senza mai perdere equilibrio o armonia compositiva. La sua pittura è il risultato di una meditazione sul colore e sulla forma che non cede mai al manierismo, ma si apre invece a una leggerezza meditativa, dove anche l’assurdo architettonico si fa familiare.
Josip Depolo ha notato in Bengez una qualità rara: la capacità di evocare una poetica visiva “senza etichette”, priva di scuole dominanti, ma ricca di rimandi che vanno da Marc Chagall a Paul Klee, da Cezanne a Kandinsky, in un caleidoscopio che è tutto personale e mai derivativo.
C’è anche chi ha letto nella sua opera un tratto filosofico: l’arte come esercizio di memoria e libertà. Come nota Giorgio Segato, ogni quadro di Bengez è una dichiarazione di indipendenza dagli stili, dalle etichette, dalle geografie. È un artista che racconta luoghi reali, ma con la libertà totale del sogno, della metafora, della reinterpretazione.
Un invito a lasciarsi attraversare
Visiting Positano è un’occasione concreta per fare un’esperienza: un contatto con la visione di un artista che ha fatto del colore una lingua e dell’immaginazione un metodo. Un’opera che affascina, certo, ma che soprattutto chiede di essere guardata lentamente, vissuta. Non si limita a rappresentare un luogo: ce ne fa respirare l’essenza, rielaborata e restituita come simbolo.
In questo senso, si può dire che l’arte di Bengez sia sempre, inevitabilmente, autobiografica: è la sua storia di viaggiatore, restauratore, osservatore lirico del mondo a entrare in ogni pennellata.