Ha lasciato definitivamente il carcere il mafioso Giovanni Brusca, l’uomo della strage di Capaci, l’assassino di donne e bambini che operava sotto le direttive di Salvatore Riina. Ma anche il collaboratore di giustizia che ha svelato ai magistrati di tutte le procure d’Italia segreti e retroscena di Cosa nostra, non solo dell’ala militare, ma anche di quella che ha avuto contatti con il mondo politico e imprenditoriale.
Le porte di Rebibbia si sono spalancate nel pomeriggio per richiudersi alle sue spalle. Ha scontato tutta la pena che gli era stata inflitta, e a differenza di altri collaboratori di giustizia, lui la condanna l’ha espiata in cella.
Brusca è tra gli uomini più sanguinari della mafia
Il soprannome “verro”, ossia “porco”, se l’era guadagnato per la ferocia con cui massacrava i suoi nemici. Questo è Giovanni Brusca, l’uomo che esordì come sicario di Cosa nostra con l’omicidio del giudice istruttore Rocco Chinnici; innescò l’esplosivo che uccise a Capaci Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro; freddò e sciolse nell’acido il tredicenne Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo; che ha commesso più di 150 delitti.
Il pentito che si pentì
La collaborazione con la giustizia di Giovanni Brusca è la più discussa della storia. È stato arrestato da agenti della polizia di Stato il 20 maggio 1996 in una villetta vicino ad Agrigento. In quel momento il boss era con il fratello Enzo la moglie, i figli e i nipoti.
Nel 2000, a seguito di lunghe polemiche, si pente. Quando, venticinque anni fa, venne pubblicata la notizia che la sua compagna e il figlio erano sottoposti alle misure urgenti di protezione riservate ai familiari dei collaboratori di giustizia, l’allora difensore del boss, l’avvocato Vito Ganci, rivelò di avere ricevuto dal suo assistito confidenze su un “complotto” in cui voleva coinvolgere uomini delle istituzioni.
Brusca aveva fatto al suo difensore, tra gli altri, il nome dell’ex presidente della Camera Luciano Violante. Si sarebbe trattato di un piano ideato dallo stesso Brusca per screditare l’antimafia, i collaboratori di giustizia e creare difficoltà in importanti processi di mafia. Questa idea non venne mai attuata. Ma a confermare il piano del falso pentimento fu il fratello, con il quale Giovanni Brusca si era accordato a gesti durante un’udienza di un processo, affinché anch’egli si fingesse pentito e sostenesse quello che il fratello dichiarava