Un percorso di sperimentazione, che ha attraversato il Novecento e che raccoglie un’eredità artistica e intellettuale ricchissima: la storia di Ileana Mendola è un tesoro rimasto per anni anonimo, riscoperto e raccontato dallo storico e critico d’arte Antonio D’Amico nel Catalogo generale Ileana Mendolda, edito da Silvana Editoriale. Una pubblicazione che verrà presentata oggi 23 marzo alle ore 17.30 all’Auditorium Concetto Marchesi di Palazzo della Cultura a Catania, e che ripercorre l’iter artistico e personale della pittrice siciliana. A intervenire insieme al curatore del volume Antonio D’amico, anche il sindaco di Catania Enrico Trantino, il Direttore alla Cultura e Rete museale Paolo Di Caro, la Presidente dell’AssociazioneCarmelo Mendola Renata Zappalà.
Figlia dello scultore catanese Carmelo Mendola, Ileana Mendola si avvicina all’arte sin da subito, per poi trovare un suo preciso stile e sviluppare una personale ricerca espressiva dopo la morte del padre. Cresciuta e formatasi tra il Friuli Venezia Giulia – terra d’origine della madre – e la Sicilia, Ileana Mendola esordisce con la pittura figurativa en plein air di taglio ottocentesco, per poi votarsi alla sperimentazione, alla ricerca informale e alla libertà espressiva portate avanti da autodidatta. A partire dal 1975 si registra un vero e proprio cambiamento nel codice dei suoi lavori: inizia il suo periodo legato alla lavorazione della juta, di tessuti e gomme che taglia, cuce e rielabora in un processo di manipolazione della materia che è al contempo quello di un’artista e di una sarta dotate di forza e delicatezza.
«L’idea del catalogo generale nasce circa quattro, cinque anni fa – racconta in conferenza stampa Antonio D’Amico, curatore della pubblicazione e della mostra – quando la famiglia Mendola mi contattò per realizzare un catalogo su Carmelo Mendola, artista catanese noto per le sue sculture: una su tutte la Fontana dei Malavoglia, collocata in Piazza Giovanni Verga a Catania. Quando visitai la casa museo rimasi così colpito dai lavori di Ileana che proposi alla famiglia di partire proprio da lei. La sua ricerca artistica mi si è sin da subito presentata come dominata da una gentile prepotenza espressiva che Ileana ha assecondato e nutrito da autodidatta, senza mai abnegarsi all’arte, ma continuando ad essere anche una madre e una moglie attenta».
La mostra, infatti, ripercorre una sorta di dialogo a distanza dei lavori di padre e figlia presenti alla Casa Museo Mendola, progettata da Carmelo Mendola nel 1961 per riunire la sua famiglia in uno spazio comune dove coltivare arte e cultura. Dopo la sua scomparsa, lo Studio è diventato luogo d’incontro culturale e sede del CIAC – Centro informazione arte contemporanea – sotto la direzione della figlia. Una mostra, quindi, che da la possibilità di conoscere una figura votata all’arte e che ha attraversato il periodo novecentesco in modo singolare.
Com’è nata l’idea di lavorare a un catalogo su Ileana Mendola?
Quella della famiglia Mendola – racconta a L’Urlo Antonio D’amico – è una storia che appartiene a Catania: Carmelo Mendola si cimenta nella scultura all’età di quarant’anni, per poi vincere contro ogni aspettativa il bando Monumento a Giovanni Verga con la realizzazione della Fontana dei Malavoglia. Inevitabilmente, all’interno della famiglia c’è un’influenza artistica forte: Ileana dice di voler fare la pittrice sin da bambina, ma la sua è una storia rimasta silente per decenni. Siamo riusciti a fare un catalogo di una produzione che per anni è rimasta nell’ombra, fino a quando le figlie non mi hanno dato l’opportunità di raccontarla. Mi era stato proposto di curare le opere del padre, ma mi sono subito innamorato della sua arte. Sono rimasto catturato in particolar modo da una sedia nera, una normalissima sedia che a un certo punto prende fuoco: viene realizzata con del tessuto colorato e con del gesso, con questi fili che ne ripercorrono il contorno e ne danno movimento e dinamismo. Lì ho deciso: voglio raccontarla.
L’intenzione è anche quella di riportare alla luce una figura poco nota per i catanesi.
Esattamente, l’obiettivo di noi storici dell’arte è quello di fare rinascere figure poco conosciute. Penso spesso alle parole di Federico Zeri, storico e critico d’arte italiano: diceva sempre che è importante dare voce agli anonimi. Ci sono voluti anni per realizzare il catalogo, abbiamo dovuto fare un po’ alla Sherlock Holmes: gli anni settanta, quelli in cui Ileana realizzava le sue opere, erano anni difficili per gli artisti siciliani. Sono stati anni dominati da chi usciva dalle Accademie, da chi doveva andare fuori per realizzarsi. Lei dice che un artista siciliano non può che essere «un’isola nell’isola», parole che restituiscono un suo modo particolare e intimo di intendere l’arte: è davvero una grande occasione quella di poter conoscere la sua storia e il suo percorso. La pittrice non sarà presente fisicamente per l’inaugurazione, ma secondo me è assolutamente presente nelle sue opere, non c’è bisogno che ci sia lei. E questa è una cosa bellissima.
Ci sono delle affinità tra la sua arte e quella del padre?
L’arte di Ileana ha seguito un percorso particolare: quando il padre era ancora in vita lei realizzava solo dipinti e tavolette, si dedicava alla natura morta e alla raffigurazione tradizionale. La figura di suo padre, in qualche modo, è sempre stata gigante nella sua vita: una presenza forte che non le permetteva di trovare una sua autonomia. È veramente interessante vedere come, dopo la morte del padre, si registra un cambiamento repentino: la sua ricerca espressiva esplode. Inizia a lavorare maneggiando, usare tessuti, juta, gomme. Ma ha sempre voluto essere considerata una pittrice: un’artista che dipinge cucendo, che dipinge tessendo, una vera e propria artigiana. Ad esempio, le sue gomme nascono in modo molto curioso: un giorno, dopo aver accompagnato sua figlia, ha trovato per strada un gommista che le aveva lasciate fuori dall’officina. Così, decide di recuperarle per realizzarci qualcosa. È una figura che è riuscita a cavalcare in modo inconscio il filone artistico del novecento, andando oltre suo padre. Erano persone molto diverse: lui un uomo colto che amava la bella vita, lei una donna che ha voluto coltivare l’amore per la semplicità, nell’arte e nella vita. Ha fatto una scelta coraggiosa: a volte è difficile essere figli e uomini al tempo stesso. Quella di essere figli è una condizione che ci portiamo per tutta la vita, e chissà quanto siamo l’uno e quanto siamo l’altro…