Concepita inizialmente come una comédie-ballet in tre atti, seguiti da altrettanti intermezzi musicali accompagnati da balletti, “Il malato immaginario” è l’ultima, e forse la più conosciuta commedia di Molière, quel figlio di tappezzieri nato col nome di Jean-Baptiste Poquelin nel 1622, rappresentante, insieme a Racine e Corneille del teatro secentesco.
É tornata a rivivere sotto i riflettori del teatro Stabile di Catania nel quarto centenario della nascita dell’autore francesce, con la regia di Gugliemo Ferro, con Emilio Solfrizzi (Argante), Lisa Galantini (Tonietta), Viviana Altieri (Angelica) Luca Massaro (Tommasino) Sergio Basile (dottor Purgone e dottor Diaforetico); e ancora: Antonella Piccolo, Cristiano Dessì, Cecilia D’Amico e Rosario Coppolino.
Prendendo il nome di Molière (in onore dello scrittore François-Hugues de Molière d’Essertines, presente nella corte di Maria de’ Medici e di Luigi XIII) giunse dopo non poche difficoltà a ottenere la protezione di Luigi XIV.
“Il malato immaginario” fu rappresentato per la prima volta (con lo stesso autore ad interpretare Argante) il 10 febbraio 1673, 350 anni fa, al Palais-Royal dalla “Troupe de Monsieur, frère unique du Roi “, con musiche di Marc- Antoine Charpentier, e coreografie di Pierre Beauchamp.
La settimana successiva al debutto Molière, cinquantenne, moriva di tubercolosi.
Guglielmo Ferro nella sua regia opera alcune variazioni; prima fra tutte l’eliminazione degli intermezzi e delle maschere tradizionali.
Cancella così il primo intermezzo in cui un Pulcinella disperato per il diniego di Tonina, viene arrestato e bastonato dai gendarmi, ma dove alla fine tutti danzano. E anche il secondo in cui diversi Egiziani vestiti da Mori intrecciano danze e canzoni insieme alle scimmie che hanno portato con loro. E ancora Il terzo con la cerimonia burlesca della ‘laurea’ in medicina con otto porta clisteri, sei speziali e ventidue dottori, di cui otto chirurghi che ballano e cantano in latino.
Movenze di Totò
Nonostante ciò il regista riesce a conservare lo spirito del testo originale e renderlo ancora più comico e spettacolare inserendo audacemente battute e movenze marionettistiche che sembrano a volte riecheggiare addirittura il grande Totò.
La comicità di Molière è pertanto erede della commedia dell’arte e sembra quasi precorrere il teatro dell’assurdo.
Certamente nota ai nostri lettori, la trama vede al centro l’ipocondriaco Argante -un personaggio talmente iconico da essere quasi una maschera- che attraverso le ricette di medici ‘sapientoni’ e i farmaci costosi di rapaci aromatari, clisteri e balsamici purganti, si rifugia nella malattia per sfuggire ai “dardi dell’atroce fortuna”.
“Il malato immaginario ha più paura di vivere che di morire – dichiara Guglielmo Ferro – e il suo rifugiarsi nella malattia non è nient’altro che una fuga dai problemi, dalle prove che un’esistenza ti mette davanti”.
Da padre/padrone -ruolo che il XVII secolo gli ‘consentiva e imponeva’- decide le nozze della figlia con il pupillo di una famiglia di medici, a sua volta un molto improbabile dottore, inetto…e anche assai grullo, per avere chi lo curi gratis in famiglia.
Le resistenze di Angelica, innamorata del giovane Cleante, sarebbero state punite con la clausura in convento, cosa fortemente desiderata dall’avida matrigna in attesa dell’eredità.
L’intervento della furba serva (un topos da Plauto a Goldoni) e del razionale e lungimirante zio Berlando salveranno la fanciulla: la strumentale finta morte di Argante rivelerà i veri sentimenti delle donne di famiglia, assicurando il lieto fine.
Il nocciolo della questione consiste nella sarcastica critica che Molière lancia contro il suo tempo.
“Il malato immaginario” è principalmente una grottesca satira sui medici e la medicina del Seicento in cui “con una toga e un cappello non si deve far altro che parlare: qualsiasi chiacchiera diventa oro colato, qualsiasi sciocchezza diventa vangelo”.
Attraverso la mania ipocondriaca del malato sedotto dalle salutistiche illusioni l’autore mette in luce l’ignoranza dei medici che reputano di guarire ostentando discorsi vani, solenni e roboanti in latino e greco.
Dal Dottor Purgone, al farmacista Olezzanti o al Dottor Diarroicus essi sono venditori di fumo pronti a lucrare a danno dei malati.
Beraldo sconfessa completamente questa medicina: “ridicolo un uomo che pretende di guarirne un altro”
Si tratta di una critica razionalistica nei confronti di una tradizione – quella del supponente medico “di polso e di urina” contro l’inferiorità del cerusico/barbiere” – che presto verrà superata dagli studi scientifici della medicina ‘illuministica’ e dal trionfo dell’anatomia, della fisiologia e della chirurgia nelle aule universitarie.
Argante al centro dell’attenzione
Ma Argante, desideroso di restare al centro dell’attenzione, è anche un piccolo tiranno domestico, l’ultimo dei cosiddetti ‘honnetes hommes’ di Molière, un piccolo borghese arricchito vittima e insieme colpevole degli errori e dei vizi del suo tempo.
Egli sembra presagire la crisi del maschio nei suoi ruoli di padre, di padrone e di marito.
Anche se Molière è certamente il precursore di quella ‘riforma del teatro’ che si esprimerà un secolo dopo con Carlo Goldoni, l’Accademia di Francia non lo accettò mai mentre era in vita, perché il “guitto” era ritenuto culturalmente inferiore.
Ma nel 1774 riparò dedicandogli una statua con l’iscrizione: “Rien ne manque à sa gloire, il manquait a la nôtre”.
La perizia e l’originalità del regista, in conclusione, il cast straordinario e soprattutto la splendida, ineguagliabile, espressiva recitazione di Emilio Solfrizzi hanno portato lo spettacolo a livelli altissimi.
Il pubblico entusiasta ha applaudito più volte a scena aperta mentre dietro le risate apprezzava la satira mordente e la sardonica ironia.
MOLIÈRE AL TEATRO STABILE DI CATANIA
Costumi: Santuzza Calì
Scenografie:
Musiche: Massimiliano Pace
Produzione: Compagnia Moliére, La Contrada – Teatro Stabile di Trieste
in collaborazione con Teatro Quirino – Vittorio Gassman