Maxi inchiesta antimafia della Dda di Palermo che ha portato al fermo di ben 23 soggetti tra Capimafia e Boss appartenenti alla Stidda.
L’indagine, che colpisce le famiglie mafiose agrigentine e trapanesi, è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.
L’inchiesta, inoltre, riguarda anche un ispettore e un assistente capo della Polizia, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreti d’ufficio, e un avvocato. Gli indagati rispondono a vario titolo di mafia, estorsione, favoreggiamento aggravato. Per 2 anni i capimafia di diverse province siciliane, infatti, si sono riuniti nello studio di un’avvocata di Canicattì finita oggi in cella. La legale, difensore di diversi mafiosi, era la compagna di un imprenditore già condannato per associazione mafiosa.
Fermato anche il boss Antonio Gallea: il capomafia e riorganizzatore dell’assetto della Stidda, fu il mandante dell’omicidio del giudice ragazzino, Rosario Livatino, trucidato il 21 settembre 1990.
Tra i nomi coinvolti spicca anche quello del capomafia latitante da 28 anni, Matteo Messina Denaro, ancora riconosciuto come l’unico boss cui spettano le decisioni su investiture o destituzioni dei vertici di Cosa nostra. Anche Messina Denaro è destinatario del provvedimento di fermo, emesso per 23 persone, ma eseguito appunto solo nei confronti di 22, visto che il padrino trapanese resta latitante.
Il ruolo del boss di Castelvetrano si fa sempre più vivo nella vicenda relativa al tentativo di alcuni uomini d’onore di esautorare un boss dalla guida del mandamento di Canicattì. Dall’indagine emerge che per di realizzare il loro progetto i mafiosi avevano bisogno del beneplacito di Messina Denaro che continua, dunque, a decidere le sorti e gli equilibri di potere di Cosa nostra pur essendo da anni imprendibile.
E.G.