Nelle nostre città non bastano interventi belli. Se una piazza è invivibile per il caldo a luglio, se il marciapiede si interrompe non permettendo il passaggio del passeggino, se una fermata dei mezzi pubblici è buia alle 19, non abitiamo una città a nostra misura e, nel momento in cui passiamo da abitanti a testimoni, notiamo tutti quei dettagli che definiscono la vera natura dell’architettura: un atto politico.
Non nel senso dei partiti o dei programmi, ma nel senso più alto e originario del termine polis: la città come luogo della vita comune. Progettare, oggi, significa prendersi cura del modo in cui le persone vivono insieme.
Cura: non buonismo, ma responsabilità
Cura è mettere al centro i corpi che abitano lo spazio: chi spinge un passeggino, chi si muove piano, chi cerca quiete. Cura è considerare il clima non come sfondo, ma come vincolo: il caldo non si “arreda”, si governa con alberi, suolo vivo, superfici che non cuociono. Cura è dare alla cultura un ruolo quotidiano: scuole, biblioteche, cortili, presìdi che tengano aperta la città. Che poi è pure semplice, in fondo, perché la cura si può misurare.
Non con i render, ma con indicatori semplici: minuti a piedi per raggiungere servizi, gradi in meno all’ombra, ostacoli rimossi lungo un itinerario, ore serali in cui un luogo resta accessibile e sicuro, percentuale di suolo permeabile, sedute utili ogni cento metri.
Se non sappiamo misurare, stiamo raccontando favole
La cura, però, ha tempi e ha bisogno di manutenzione. Inizia con l’indicazione politica, passa dall’ascolto pubblico, prosegue con la progettazione e la realizzazione, ma non finisce il giorno dell’inaugurazione.
Senza un patto chiaro tra Istituzioni, gestori e abitanti, gli spazi si degradano e tornano a escludere. La vera innovazione non è l’oggetto nuovo, è la gestione che dura: cortili scolastici aperti il pomeriggio, acqua e ombra in estate, potature e irrigazione programmate, segnaletica leggibile, bagni accessibili.
La cura è prossimità
Una città giusta riduce gli spostamenti obbligati, mescola funzioni, protegge le strade delle scuole, disegna fermate accoglienti, rende dignitoso camminare e pedalare.
Non esistono periferie quando ogni quartiere possiede un pezzo di bellezza e di servizio. Le grandi opere contano, ma la vita cambia soprattutto con micro-interventi mirati.
La cura chiede coraggio
Aprire a esperienze che ancora non ci sono, convertire asfalto in suolo vivo, togliere qualche posto auto per alberi e panchine, usare spazi in attesa per funzioni utili, puntare su interventi di alta qualità architettonica. Da qui ripartiamo: dalla responsabilità del progetto come pratica di giustizia quotidiana.
Il desiderio è intrecciare architettura, verde, genere, diversità e cultura in un racconto urbano che non li separi più: la città non è fatta di comparti, ma di relazioni. C’è un’urbanistica che ascolta, che accoglie, che costruisce gentilezza. C’è un’architettura che non parla solo di forma ma di diritti.
E c’è un pensiero femminile — non nel senso biologico, ma nel senso della cura, dell’attenzione e dell’ascolto — che può rigenerare il modo di abitare il mondo. La città di domani non si costruirà solo con cemento e leggi, ma con empatia, consapevolezza e responsabilità. E se progettare è decidere come vivremo insieme, allora sì: l’architettura è, e deve tornare a essere, un atto politico d’amore.
——–
Eleonora Bonanno – Architetto, autrice de L’Urlo
Sognatrice oltre ogni ragionevole dubbio, crede fermamente nel potere salvifico della bellezza e, quindi, dell’architettura.
Si è occupata di lavori pubblici e privati con la stessa attenzione verso le esigenze del committente, il rispetto del budget previsto e l’ottenimento della più alta qualità possibile.
Dopo la laurea a Palermo e gli anni di formazione tra studi tecnici e bioarchitettura, fonda Base51 Architettura, dove coniuga sostenibilità, estetica e rispetto per chi abita gli spazi.
Consulente per il Tribunale, porta su L’Urlo il suo sguardo sensibile e concreto sulla città, sulla materia e su quella forma di bellezza che resiste al tempo.







