Ai primordi dell’estate appena trascorsa scoppiò la polemica se fossero i prezzi degli ombrelloni e delle sdraio, unitamente ai lievitati costi degli alberghi e delle case vacanza a essere troppo alti, diversamente i salari, le pensioni o gli stipendi degli italiani a tendere pericolosamente verso il basso.
In soccorso del realismo economico, esente in tanti governanti, giungono le voci dei cittadini, raccolte nei supermercati, nei generi alimentari, ormai rarissimi, o nei panifici, quanto nelle macellerie, oppure nelle pescherie, se non si tratta di consumatori vegani, a indicare l’impossibilità di tenere dietro alla folle corsa dei prezzi, a causa delle magre, o perlomeno, cristallizzate, retribuzioni degli italiani.
Aumento di cibi e bevande
Sì, in quanto le rilevazioni di lungo termine, risalenti all’ottobre 2021 fino allo stesso mese del 2025, marcano l’aumento di cibi e bevande pari al 25%. Nell’ultimo anno gli incrementi hanno segnato il 2,3%, attestandosi, nel novembre in corso, all’1,9%. Per intenderci, i rincari dei beni essenziali richiedono in media l’esborso di 560 euro in più all’anno alla famiglia tipo. Quasi 50 euro di più al mese, senza contare il costante lievitare delle bollette di gas, luce, telefono, tasse varie sulla casa, l’auto, la monnezza e via di seguito.
Sul versante contiguo, l’Eurostat rende noto, impietosamente, nel confronto tra l’Italia e le nazioni consorelle, lo stato di disagio dell’economia domestica, rilevando la risalita del reddito reale pro capite delle famiglie dell’Unione europea, in media, del 22% negli ultimi 20 anni. Nel documento si trovano persino i dettagli per ciascuna nazione, dal picco della Romania (+134%) alla Lituania (+ 95%), dalla Polonia (+91%) al Belgio, con il quale le percentuali rientrano nella tendenza tipica delle economie sviluppate, cioè +15%. Ma anche in questa fascia, l’Italia non figura. Si trova, l’Austria +14%, la Spagna +11%. Per catalogare la redditualità del nostro paese, si deve ripiegare sulla china della retrocessione, dove al penultimo posto della classifica appare il tricolore nostrano, appena sopra l’ultima posizione, nella quale è relegata la Grecia, con l’asseveramento, davvero preoccupante, dei precedenti venti anni di fermo, a cui sommare l’ulteriore e recente calo del 4%.
Alla faccia del… caciocavallo, metafora del carrello della spesa ormai vuoto per via dei rincari. Privato dei generi di prima necessità, il consumatore alla stregua dell’asino di Buridano, costretto alla scelta tra bere o mangiare non seppe decidersi, alla fine tirando le cuoia!
A scuola di economia, di diritto e di gestione della cosa pubblica, urge mandare la classe politica di oggi e quella da formare per il domani, sosteneva giorni fa una signora acculturata.
I giovani vanno via dall’Italia
Già. Ma a chi affidare la formazione? Ai discepoli dello scomparso Federico Caffè, ormai legati a doppio filo al mondo della finanza internazionale, da essa dipendenti, dove, semplificando arditamente, i ricchi sono destinati a diventare sempre più ricchi e i poveri a proliferare?
In un simile scenario, dove l’inverno demografico imperversa, i medici mancano, i rimanenti scappano attirati dalle sontuose retribuzioni offerte dalla Francia, Germania e Inghilterra, mentre giovani e laureati abbandonano l’Italia, non solamente la Sicilia, al gotha delle istituzioni non viene in mente di essere all’inizio del processo di recessione del paese?
Siamo alla frutta
A questo punto la domanda d’obbligo: basterà rimanere a guardare oppure la massa di denaro del piano di ripresa e resilienza, ogni eccezione rimossa, andrà impiegata per agevolare l’intrapresa privata e pubblica, fermando sul nascere la stagnazione. Ovvero, la tendenza in atto, per cui le famiglie consumano di meno, a fronte della lievitazione dei prezzi delle derrate alimentari. Con una battuta si direbbe, siamo alla frutta, i cui costi sono in taluni casi triplicati. Nel frangente, il precipitare del reddito del ceto medio, accompagnato dall’estendersi delle povertà sotto la soglia della quale si trovano 5 milioni di cittadini, è qualcosa in più di un campanello d’allarme per l’economia della penisola.








