La “Pensione Lisbona”, con le sue pareti verdi, gli specchi, i tavoli con la poltrona e le luci soffuse, sono il palcoscenico privilegiato in cui si consuma la tragedia umana di Alfonsina Malacrida (Giuliana De Sio), detta Nanà, ex prostituta, Pietro Emilio Belli (Alessandro Haber), giornalista di cronaca senza scrupoli, Bonamente Fanzago (Riccardo Festa) attore porno al tramonto e il signor Alfredo (Paolo Sassanelli), omosessuale proprietario della pensione.
E’ “La signora del martedì”, di Massimo Carlotto, per la regia di Pierpaolo Sepe, accolto dal pubblico catanese con lungo applauso. Sarà in scena al teatro ABC fino al prossimo 12 marzo.
Una storia intensa, o meglio 4 come detto prima, in cui le vite dei personaggi si stagliano e si consumano sulla scena, tra le canzoni “Tutt’al più” di Patty Pravo o “L’immensità” di Adamo, in un continuum grottesco di sentimenti, intriso di torbida sensualità ma anche di dolcezza e di grazia, arricchito da un’ironia elegante e tagliente che produce leggerezza e sorriso.
Uno stato di tensione, di trepidazione, attraversa tutto lo spettacolo fino all’imprevedibile conclusione, lasciandoci senza fiato, legati per sempre a questi meravigliosi personaggi nati dall’immaginazione di Massimo Carlotto, una delle penne più efficaci e profonde del nostro tempo, investigatore instancabile del crinale tra il bene e il male.
“Le parole sono importanti danno un peso alla vita“, dice Pietro Belli, interpretato con una straordinaria forza recitativa da Haber, che in ogni minimo dettaglio riesce a rappresentare la sofferenza di un uomo colpito dalla cosiddetta “malattia dell’amore”.
“Ha tante valenze il mio personaggio, l’ho umanizzato, alla fine viene sconfitto, muore, però in qualche modo si redime”, sottolinea Haber, attore, regista e cantante di Bologna, grande amico del pubblico catanese.
“Quanto mi hanno proposto questo personaggio – continua – non mi piaceva, troppo cinico, tenta lo scoop e soprattutto di demolire Nanà, che in passato faceva la prostituta. Con il regista abbiamo lavorato molto per rimetterlo in gioco con un passato presente e futuro, con implicazioni psicologiche e come se fosse una partitura musicale, che lentamente si sgretola. Del resto Pietro Emilio Belli è stato un suo cliente, si era innamorato di lei e cercava di salvarla e redimerla. Lei all’inizio nemmeno lo ricorda, poi piano piano rammenta. Nel personaggio c’è la voglia di incontrarla, del resto lui si è pure sposato con una donna che le somiglia. È un personaggio già tarato, come tutti i 4 personaggi che sono derelitti ognuno con le proprie problematiche. Vivono di squilibri. Dopo 40 anni Pietro, ha un senso di odio e amore nei confronti di una donna, che gli è rimasta dentro, ed è costretto in una sedia rotella e i medici non capiscono come mai sia paralizzato, perchè soffre della cosiddetta “malattia dell’amore”.
Ha un feeling particolare sia con la Sicilia che con il pubblico?
“Ho tanti amici qui, come, Franco Sgalambro, per citarne uno, e da lui mi sento come se fossi a casa mia. L’amicizia è il piacere di dare e questo capita anche a me quando ospito qualcuno. E poi l’attore Antonio Catania e la straordinaria Guia Jelo. E poi amo il mare di Catania, i chioschi, le bibite. A Palermo c’è Daniele Cangemi, con cui in passato ho fatto uno spettacolo. L’Italia è tutta bella, ma la Sicilia è curiosa, dura, come un tramonto da perdere la testa. Quanto al pubblico, noi abbiamo bisogno di loro, perché rappresentano lo strumento per poterci esprimere. L’attore ha bisogno dell’abbraccio”.
Lo spettacolo rappresenta un po’ la società di oggi?
“E’ disarmante, tutti feriti come in parte la società di oggi con le notizie terribili di morte che sentiamo, leggiamo. Dopo un po’ il dolore si narcotizza. Ogni individuo invece ha un valore. Dovremmo tutti fare qualcosa”.
A fine spettacolo cosa succede al pubblico?
“Solitamente non si rendono conto del passaggio dal primo al secondo tempo e come se volessero stare ancora all’interno delle vicende dei personaggi, hanno seguito la loro vita e ognuno si può riconoscere nelle loro frange, negli interspazi. Si riscopre la pietà, la voglia di riscattarsi. Lo spettacolo ci è scoppiato tra le mani, ci siamo tuffati e abbiamo lavorato. L’attesa è il pubblico che sentenzia un successo o una delusione, sempre una corda tesa, e invece noi abbiamo tanta passione e voglia di rischiare con il pubblico. Le cose semplici sono noiose”.
Nella vita spesso accade che tutti “ci travestiamo per nasconderci”, forse un modo per proteggersi da ciò che potrebbe far soffrire o la mancanza di coraggio di essere sè stessi… del resto “la paura è pur sempre un sentimento rispettabile”.