Martedì 4 novembre 2025, a Milano, all’età di 94 anni, è venuto a mancare il maestro Giorgio Forattini. Il noto vignettista con la sua matita ha raccontato e commentato quasi mezzo secolo di vita politica italiana, lasciando un segno profondo nella storia della satira e dell’illustrazione giornalistica.
Gli inizi e la formazione
Nato a Roma il 14 marzo 1931, Forattini apparteneva a una famiglia borghese e cominciò studiando architettura, prima di dedicarsi all’arte grafica. Prima di entrare a pieno titolo nel mondo della satira politica, ha svolto diversi lavori: operaio, rappresentante commerciale, venditore, fino ai quarant’anni. Nel 1971 vinse un concorso indetto da “Paese Sera”, un quotidiano romano, diventando grafico e disegnatore. La prima vignetta che lo rese noto risale al 14 maggio 1974, in occasione della vittoria del “No” al referendum sul divorzio. In questa vignetta ritraeva Amintore Fanfani come tappo che saltava da una bottiglia di spumante con l’etichetta “NO”.
Il percorso professionale
Forattini iniziò la sua carriera professionale da grafico professionista solo negli anni ’70, e ben presto entrò nelle grandi testate. Nel 1976 figurava tra i collaboratori fondatori di “La Repubblica”. Sei anni dopo fu chiamato da “La Stampa” (Torino) dove le sue vignette comparivano in prima pagina e quotidianamente: una novità per la satira italiana. Tornò poi a “La Repubblica” nel 1984 e vi restò fino al 1999, anno in cui abbandonò il quotidiano capitolino. Tutto nacque da una sua vignetta satirica su Massimo D’Alema, per la quale viene querelato. D’Alema poi ritirò la querela, ma le polemiche create gli costarono la rottura con la testata romana. In seguito collaborò anche con “Il Giornale”, dal 2006 a metà 2008, e con il gruppo QN (Quotidiani Nazionali) dal 2008.
Lo stile e l’impatto
Forattini è stato un innovatore della satira grafica: la sua matita non risparmiava nessuno, dalla Prima Repubblica fino ai decenni più recenti. Politici, capi di Stato, uomini d’affari, papi, magistrati: tutti erano potenzialmente un suo bersaglio. Tra i ritratti più ricordati Craxi in divisa fascista, Berlinguer in vestaglia tra gli operai, Prodi come un prete di campagna, Bossi come Alberto da Giussano. La cifra del suo lavoro fu la satira senza sconti, ma anche il gioco, come lui stesso diceva, «il principio della libertà e del divertimento». Le sue vignette hanno accompagnato momenti cruciali della storia italiana: le stragi di mafia, il terrorismo, tangenti e i tanti scandali politici. Nel corso della carriera realizzò circa 14 mila vignette, a loro volta raccolte in decine di libri venduti per oltre 3 milioni di copie.
Controversie e libertà di satira
Non mancarono, come già detto le polemiche. La querela di Massimo D’Alema nel 1999, che chiese 3 miliardi di lire per una vignetta (e solo nei confronti di Forattini) segnò un punto di svolta nella dialettica tra satira e potere. Forattini fu spesso accusato da varie parti di fare satira con intenti politici o di parte, ma il suo rifiuto a essere “inchiavardato” da logiche editoriali era parte del suo brand.
La morte e l’eredità
La sua scomparsa segna la fine di un’epoca della satira in cui la vignetta quotidiana entrava direttamente in prima pagina nei grandi quotidiani italiani. Come molti commentatori hanno osservato, «ha castigato 50 anni d’Italia». L’eredità è duplice: da un lato la matita graffiante che ha raccontato il potere e le sue fragilità, dall’altro la consapevolezza che la satira è strumento di democrazia, critica e libertà, ma anche campo minato di diritti, querele e limiti.
Giorgio Forattini è stato un maestro della satira grafica italiana, in quanto capace di trasformare la vignetta non solo in momento di leggerezza, ma in strumento di commento politico. La sua carriera ha percorro tante stagioni dell’Italia repubblicana: dai referendum degli anni ‘70, al tramonto della Prima Repubblica, fino ad arrivare ai passaggi più turbolenti degli anni ‘90 e 2000.
Con la sua morte si chiude una lunga stagione, della quale resta il segno delle immagini che hanno fatto ridere, pensare, sbattere il dito sul potere. E resta la domanda su quali siano oggi le nuove modalità della satira, in un mondo che cambia veloce.








