Col buio me la vedo io di Anna Mallamo, un libro ambientato nella Reggio Calabria dei moti avvenuti nella città dello Stretto tra 1970 e 1971, è un lavoro che potrebbe prestarsi a mille interpretazioni.
La trama del libro e i rapporti di Lucia con la famiglia
La vicenda narra della 16enne Lucia Carbone, che vive il passaggio dall’età dell’innocenza a quella della consapevolezza all’interno della sua stanza. La protagonista cerca durante il racconto di trovare un suo posto e la famiglia appare a lei sia come rifugio che come trappola.
La famiglia, durante l’incontro svoltosi lo scorso 1 ottobre alla libreria Mondadori di via Gabriele D’Annunzio a Catania, è stata definita dalla stessa Anna come il primo campo di battaglia. La famiglia è anche un sistema di attesa e rappresenta sia l’essere protetti che l’essere esposti allo stesso tempo, soprattutto al giudizio dei familiari.
In questo senso assumono un’importanza notevole i rapporti con la nonna, che porta lo stesso nome della protagonista, con la madre anaffettiva e con il padre, che sembra altrettanto anaffettivo, ma che in realtà è un analfabeta emotivo, come se gli uomini di quel periodo non dovessero possedere una sorta di alfabeto delle emozioni.
Il senso del titolo
Le donne invece esprimevano secondo l’autrice un amore anche talvolta eccessivo, con contatto fisico e abbracci. Tutte queste sono sensazioni che hanno fatto anche soffrire Anna, aldilà di quello che era il luogo in cui si viveva, e c’era anche l’usanza delle famiglie per elezione, il cosiddetto commarato, le persone con le quali si viveva per esempio da vicini di casa, che era diffuso anche nel paese nativo dell’autrice, Santo Stefano Aspromonte.
Lo stesso titolo del libro è una frase che dice la nonna di Lucia e significa «Non ti preoccupare, faccio io». Una frase che da Anna viene definita come una cosa che in un primo momento è bello sentirsi dire, ma che in seguito può anche risultare come una forma quasi di oppressioni, perché si pensa che si deve agire da soli.
Il ruolo di Reggio Calabria e l’emancipazione femminile
Sapendo leggere le parole, dato che la stessa autrice si definisce prima di tutto lettrice, si può essere anche più felici dentro ai campi minati come le famiglie, le città e le generazioni. Sul ruolo della città di Reggio Calabria nel libro l’autrice ha detto: «La città viene raccontata come io volevo, perché è una di quelle città del sud che sembrano solo un cumulo di borghi mafiosi e che invece sono molto forti e moderne. La città non è un set, bensì un sistema di desideri, paure, trincee e linguaggi, che noi attraversiamo e dai quali siamo attraversati. Reggio aveva parecchi problemi, ma anche una sua oasi di umanità. Ho raccontato Reggio nella sua complessità, ma anche nella sua forza, perché sorge in uno dei luoghi più belli del mondo».
Sull’emancipazione per le donne, piuttosto difficile in quel periodo, «ci fu una svolta e molte cose sono venute a maturazione, già messe in campo dalla generazione di mia madre, e hanno segnato una svolta nell’emancipazione della donna».