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Home Cultura e spettacoli Teatro

Chi ha paura di Vincenzo Bellini?

Il Teatro Massimo Bellini presenta due stagioni e mezza, ghettizzando il Cigno catanese nell’ambito dell’ennesimo tentativo di festival belliniano. Il commento di Marco Fallanca

di Marco Fallanca
28/07/2022
in Teatro
Chi ha paura di Vincenzo Bellini?
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A Catania, si sa, non siamo amanti delle mezze misure. A passare da un estremo all’altro è, stavolta, il Teatro Massimo Bellini che – dopo un paio di anni di magra, stalli produttivi e cartelloni ridotti all’essenziale nell’era post- pandemica – ha presentato qualche giorno addietro la Stagione di Concerti 2022/2023 e le Stagioni di Opere e Balletti 2022/2023 e 2024, spingendosi fino al titolo inaugurale del 2025. Senza contare la programmazione del Bellini International Context (BIC), già oggetto di una travagliatissima genesi nella denominazione che negli ultimi anni ha spaziato da Bellini Renaissance a Bellini Festival, fino a Tributo a Vincenzo Bellini, per approdare – almeno per il momento, in attesa di nuovi pronunciamenti giudiziari – a questa nuova generalissima, anglofila, infelicissima dizione.

Ci si rallegra, anzitutto, per questa improvvisa inversione di tendenza, sintomatica almeno in apparenza di una rinnovata disponibilità di risorse pubbliche, in modo non difforme da quella che sta caratterizzando l’allegria e l’esuberanza di numerosi altri enti che godono dell’assai generoso sostegno della Regione Siciliana. E non potremmo che rallegrarci e plaudire, in questo senso, qualora la corposa presentazione delle stagioni per gli anni a venire implicasse anche la risoluzione dei problemi economici, burocratici e amministrativi che non consentivano – praticamente fino all’altro ieri – di guardare già solo all’indomani con ottimismo, programmando quanto per un ente di spettacolo rappresenterebbe l’ordinaria amministrazione. Una progettualità finalmente triennale che, con altrettanta accuratezza e diligente sicumera, è stata presentata alla stampa dal Sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano, dal direttore artistico Fabrizio Maria Carminati, dal Commissario straordinario Daniela Lo Cascio, affiancati dall’Assessore regionale Manlio Messina e da quello comunale Michele Cristaldi, tutti stretti stretti dietro un tavolo affollato da grand’ufficiali e chi più ne ha più ne metta.

Da una rapida analisi dei cartelloni, tra i 18 concerti che compongono la stagione sinfonica, saltano subito all’occhio la Messa da Requiem di Verdi e il Messiah di Händel, relativamente ai quali – a fronte degli elementi richiesti e delle asperità che il libretto dell’oratorio comporta – si suppone la governance del teatro abbia già messo mano al riordino e al rinnovamento dell’esigua e deficitaria compagine del coro. Il Requiem sarà, peraltro, dedicato alla memoria di Gianluigi Gelmetti, già direttore principale del Teatro, sebbene non brillino nomi di solisti che abbiano avuto un particolare legame con il compianto Maestro. Si rileva poi la presenza di Aldo Sisillo, Direttore del Comunale di Modena dove lo stesso Carminati dirigerà Un ballo in maschera nel marzo prossimo, e il gradito ritorno di Antonino Fogliani.

Sorprende la scelta di Elena Belfiore, Musetta ne La bohème di Leoncavallo, inserita inspiegabilmente in seno alla stagione sinfonica in forma di concerto, opera forse meritevole, invece, di figurare quale titolo inaugurale della stagione.

Quanto al cartellone della stagione lirica 2022/2023, si attinge come di consueto al repertorio italiano più popolare e rappresentato. Inaugura La bohème di Puccini, con un cast ancora troppo incompleto per esprimere un giudizio compiuto, nell’apprezzato e imponente allestimento già visto al Massimo di Palermo con la regia di Mario Pontiggia. Segue Le nozze di Figaro, con il debutto di Desirée Rancatore nei panni della Contessa d’Almaviva, a ulteriore riprova di un nuovo repertorio ormai avviato e confermato dalla Mimì apprezzata a Palermo, sotto la direzione di Carminati. Buone anche le presenze di Gabriele Sagona e Luca Bruno mentre Susanna è Cristin Arsenova, una delle quindici vincitrici del primo concorso internazionale per voci liriche “Vincenzo Bellini” del 2021, che rischiamo di scontare ancora a lungo.

Alla direzione non sorprende la presenza di Beatrice Venezi, recente pupillo della Regione Siciliana e già in odore – a sentire i ben informati – di Direzione artistica della Fondazione Taormina Arte Sicilia: ad ogni
modo, è per lei un assoluto debutto alla direzione di un’opera nel circuito delle stagioni di un ente lirico.

Sfugge, infine, il senso di presentare in cartellone le recite destinate alle scuole dell’obbligo con la direzione di Giulio Plotino, che normalmente si includono tra le attività collaterali di tutti i teatri lirici.

La protagonista di Adriana Lecouvreur di Cilea sarà Rebeka Lokar, dotata vocalmente per quanto priva di
glamour divistico, che sarà pure Tosca nell’ottobre prossimo e addirittura Turandot e Gioconda nel 2024: praticamente una sorta di mini-abbonamento perpetuo per gli ammiratori dell’artista slovena. In attesa di conoscere l’identità del tenore che interpreterà il ruolo più impervio, ennesima conferma per l’onnipresente favorita Anastasia Boldyreva.

Sarà, quindi, la volta de La fille du régiment di Donizetti, illustre assente al Bellini da oltre quarant’anni: salta all’occhio la presenza di Madelyn Renée, assente dai teatri dagli anni ’90, e il gradito ritorno di Giuliano Carella. L’allestimento è quello palermitano, agevole da montare, con la regia Zeffirelli ripresa da Marco Gandini. Curiosità per il cameo di Crakentorp del terzo atto, ruolo recitato affidato a dive del teatro come Anna Proclemer. Chiude la stagione l’ennesima

Traviata, nell’allestimento di Henning Brockhaus per Macerata, con uno specchio sospeso a tutta scena e rapidi cambi a vista; la terza consecutiva al Bellini per Daniela Schillaci – ultime due in primo cast – per quanto sempre più lanciata verso altro repertorio. Spiccano anche le presenze di Stefan Pop e Francesco Vassallo. In modo non difforme appare la stagione 2024, sebbene i cast risultino ancora troppo incompleti per consentire un commento più puntuale.

Inaugura nuovamente Puccini – non fosse mai che a Catania ci si stia inconsapevolmente riposizionando su Torre del Lago – con Turandot per la regia di Alfonso Signorini, già causa di discordia e di ampia
querelle social per la recente Cavalleria rusticana cancellata a Vizzini e (forse) riprogrammata a settembre: nuovamente Lokar, Schillaci e Villari. Si dovrebbe poi plaudire alla commissione di una nuova opera, pratica abbastanza consuetudinaria fino ai primissimi anni ’90: in dittico con La lupa di Tutino, vedrà la luce Il berretto a sonagli, sempre di Tutino ed entrambi i titoli con la regia di Gabriele Lavia.

Un’apertura al nuovo con uno sguardo al passato, dunque, per investire sulla creazione contemporanea con molta, forse troppa cautela. Su questo versante, l’ultimo precedente etneo degno di nota fu Bozzetto siciliano di Bussotti nel 1990. Su Lucia di Lammermoor buone le presenze di Maria Grazia Schiavo e Simone Piazzola, anche qui in attesa di dare un nome al tenore. Piacevole ritorno alla direzione di Stefano
Ranzani.

Non mancherà l’ennesimo Rigoletto firmato da Leo Nucci, già oggetto di una dispendiosissima operazione commerciale – inversamente remunerativa – qualche anno fa a Taormina con la direzione di Plácido Domingo. Chiude La Gioconda di Ponchielli, che promette bene sulla carta, in attesa di vedere debuttare la produzione a Verona in autunno.

Il 2025 si aprirà con Otello di Verdi, per la regia di Giancarlo Del Monaco, a trent’anni di distanza dal fortunato Macbeth. Sorprende la scelta di relegare al secondo cast un’artista di primissimo livello come Elena Mosuc, in favore di Lana Kos. Certo, alla luce di una programmazione così a lungo termine e senza nulla togliere al valido Gaston Rivero, sarebbe stato auspicabile ci si impegnasse a scritturare una vera stella della lirica per il ruolo del titolo. Sarà questo il quinto titolo a vedere ancora una volta sul podio la direzione di Carminati.

Ma Bellini dov’è?

Inspiegabile e incomprensibile, infine, l’ostracismo nei confronti di Bellini, confinato e ghettizzato nell’ambito di quella confusa e confusionaria scatola interdisciplinare del BIC. Perché vero è che il repertorio di Bellini sconfinato non è, che le due recite de I Capuleti e i Montecchi saranno presentate in seno al festival come produzione annuale ma sarebbe senz’altro risultato opportuno inserire almeno un titolo del Cigno catanese nelle stagioni liriche dei prossimi tre anni.

O quantomeno di replicarlo, in modo da non escludere di fatto una buona fetta di abbonati del Teatro a lui intitolato. Un doveroso omaggio che sarebbe potuto arrivare puntuale con titoli come Beatrice di Tenda, Bianca e Fernando, Zaira o I Puritani, da anni assenti dalle scene del Bellini. Un’occasione persa, foss’anche solo ammortizzare i costi delle nuove produzioni festivaliere. E ci mancava solo la promessa di un nuovo Museo belliniano all’interno della Casa del Mutilato. Come se Bellini, a Catania, non l’avessero già mutilato abbastanza…

Tags: marco fallancaStagione di ConcertiTeatro Massimo Bellini
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