Alle 16.00 del sabato, in Piazza Carlo Alberto, non succede niente di strano.
Succede Catania.
La Fiera ha appena smontato.
Tra un’ora, due al massimo, sarà tutto pulito. Come se niente fosse accaduto. I netturbini faranno il miracolo quotidiano (non ditelo a nessuno, ma lo fanno pure bene). I camion laveranno, le spazzole gireranno, l’asfalto tornerà quasi decoroso.
Ma adesso no.
Adesso è melma.
Pesce morto, olive schiacciate, salamoia, grasso, frutta disfatta, cartoni fradici, broccoli. Le scarpe scivolano. L’aria è “fitusa”. Una roba che ti prende alla gola, attraversa lo stomaco e lo mette seriamente alla prova.
E in mezzo a tutto questo, eccoli.
I catanesi.
Eleganti. Profumati. Vestiti “bene”.
In fila. Composti e scomposti. Così tanti fuori dal locale che si confondono tra i netturbini che puliscono.
Davanti a un locale che parla di salute, benessere, gluten free, kombucha, juices, shot detox.
La scena è surreale.
Gente che vuole mangiare e bere sano mentre affonda le sneakers nella spazzatura.
Che parla di equilibrio, leggerezza, lifestyle, mentre respira pesce marcio.
Al braccio la Mabash di Maddi Fiumefreddo, alle ginocchia pile di cassette con le viscere dei pesci.
La scena ricorda vagamente la City di Londra alle 18.00, quando rampanti giovani, finito il lavoro nel quartiere finanziario, si riversano nei pub. La riproposizione siciliana, però, risulta grottesca, con tutta quella “munnizza”. Perché i catanesi, figli dell’Etna e di mamma, sono presi dalle bombe e, invece di uscire dall’ufficio, stanno lì dopo aver finito la partita di padel del sabato e aver rifinito il tattoo alle sopracciglia.
Il catanese è così:
segue l’onda, sempre, anche se in quel momento c’è uno scarico fognario a mare.

Il talento naturale catenese: essere ridicoli senza accorgercene.
Per adattarci a tutto. Anche al fetore dei broccoli marci quando, per qualche motivo, fa tendenza.
Alle 16.00 Piazza Carlo Alberto è uno specchio.
E quello che riflette non è la città.
Siamo noi.
Catanesi being Catanesi… fitusi.