L’Ivermectina è un antiparassitario usato solitamente per curare la scabbia o i pidocchi. Il farmaco, però, sembra essersi confermato un valido alleato anche nella battaglia contro il Covid.
È quanto emerso da uno studio britannico sull’antiparassitario, usato in precedenza anche per curare malattie tropicali gravi: la sua azione neutralizzerebbe nel giro di 48 ore dalla comparsa l’infezione da Covid sulle cellule. A confermare la tesi sono i primi risultati ottenuti nel reparto di Malattie Infettive del prof. Bruno Cacopardo all’ospedale Garibaldi Nesima.
Il farmaco avrebbe innescata una piccola speranza nella cura dei pazienti affetti da coronavirus. Cacopardo si era sempre mostrato pronto a proseguire la strada della Ivermectina: già nel dicembre scorso, il primario del reparto di Malattie Infettive attendeva l’esito del comitato etico mentre lodava gli esiti degli studi condotti sull’antiparassitario.
Il reparto dell’ospedale catanese, inoltre, sarebbe il prescelto dall’Aifa per la sperimentazione degli anticorpi monoclonali, anch’essi fondamentali per sconfiggere il virus.
Cosa rende l’Ivermectina decisiva per la lotta contro il Covid?
Il coronavirus ha un alto livello di contagiosità, caratteristica che ha portato allo scatenarsi della pandemia. L’Ivermectina sarebbe capace di ridurre la carica virale del 99,99% in 48 ore in cellule coltivate in vitro infettate da SARS-CoV-2. Dunque sarebbe più difficile far circolare il virus.
Se somministrata nelle prime fasi della malattia, potrebbe evitare facilmente i casi di intere famiglie infette o piccoli focolai, svolgendo anche una funzione di prevenzione.
Secondo i ricercati dell’università di Liverpool, però serve ancora prudenza: «L’efficacia deve essere convalidata in studi randomizzati più ampi, prima che i risultati siano sufficienti per la revisione da parte delle autorità di regolamentazione», affermano gli studiosi.
E.G.