Esistono oggetti di moda che dividono il pubblico come le Tabi, le scarpe con la punta divisa che, da più di trent’anni, riescono a provocare discussioni feroci, meme virali e innamoramenti assoluti. Nella loro forma essenziale c’è tutto: la storia di un gesto culturale antico, la spregiudicatezza di un designer che ha costruito un mito e il desiderio contemporaneo di distinguersi in un mare di estetiche fotocopia.
La storia
Le Tabi affondano le loro radici molto prima che la moda diventasse un linguaggio globale. Si ispirano ai sandali geta e zōri nati in Giappone nel XV secolo come calzatura tradizionale. Realizzate in origine in cotone bianco, con la tipica divisione dell’alluce, servivano a garantire stabilità e libertà di movimento. La loro funzionalità non era un capriccio estetico, ma un elemento centrale nella vita quotidiana. Eppure proprio questa caratteristica, così pratica e così lontana dallo showbiz, sarà quella che le trasformerà, secoli dopo, in un oggetto di culto.
Il salto temporale arriva nel 1989, quando Martin Margiela, alla sua prima collezione, decide di tradurre quell’idea in un linguaggio del tutto nuovo. Non solo riprende la forma divisa, ma la innesta su uno stivaletto in pelle, squadrato, minimal e allo stesso tempo destabilizzante. Le modelle sfilarono lasciando impronte a due punte su una passerella imbiancata: un’immagine destinata a entrare nella mitologia della moda. Quel gesto era un manifesto, la conferma che la bellezza può essere disturbante, l’eleganza può destabilizzare. Le Tabi diventano immediatamente un simbolo, la firma invisibile ma inconfondibile della Maison Margiela.
Come indossarle oggi?
Oggi, a distanza di decenni, la loro icona non si è affatto consumata. Anzi, negli ultimi anni le Tabi hanno vissuto un ritorno travolgente, complice l’estetica social che le ha trasformate in un vero linguaggio visivo. Basta una foto, spesso da sotto un jeans cropped, e gli utenti capiscono subito di cosa si parla. Le reazioni non sono mai neutre: si va dall’adorazione totale al disgusto istintivo. È proprio questo il loro potere, perché nella moda ciò che divide è spesso più interessante di ciò che mette tutti d’accordo.
Perché piacciono così tanto?
La risposta non sta soltanto nel design originale, ma nella loro capacità di raccontare un modo di vivere la moda che oggi è più rilevante che mai. Le Tabi esprimono la volontà di essere riconoscibili senza urlare, di mostrare personalità senza ricorrere al logo, di abbracciare qualcosa di decisamente non convenzionale. Sono un contrappunto al minimalismo perfetto, un invito a lasciarsi guardare due volte. In un’epoca dominata da feed patinati e silhouette ripetitive, la loro “imperfezione controllata” diventa un valore.