Catania è una città che sente il mare; e lo vede. Da lontano. Lo si intuisce pure nei nomi delle strade, che non ci parlano del mare – via del Rotolo, via Dusmet, piazza dei Martiri. Però lo si respira nelle mattine di un ormai prossimo inverno, quando il vento di scirocco ci porterà un odore salmastro fin dentro i vicoli, giù, alla Civita. Eppure, se provi a cercarlo con gli occhi, il mare non c’è. O meglio: dipende da quanto ne sei distante! Quanto più ti ci avvicini e più egli è nascosto, dietro muri, recinzioni, infrastrutture, dogane, binari, cancelli, reti, steccati, cartelli. Una bella donna pudica, un po’ schiva, si potrebbe dire, se se ne avesse voglia.
Una città costruita sul mare che il mare non riesce neppure a guardarlo è però, in fondo, una città che ha smarrito una parte di sé. Perché la distanza tra Catania e il suo mare, l’insieme di barriere che li tengono separati, non sono solo fisiche: sono soprattutto culturali. Fin dal Settecento, al tempo della ricostruzione, la città barocca si è disposta verso l’interno, verso l’Etna, come se il mare fosse una minaccia più che una risorsa. Poi arrivarono il porto commerciale, la ferrovia costiera, le aree industriali, e il rapporto si spezzò definitivamente. Oggi il litorale è un susseguirsi di barriere, transenne, accessi interrotti. Dal porto alla Playa, il mare è diventato un rumore di fondo: si sa che è lì, si sente, ma è inaccessibile.
Eppure basterebbe poco per riattivare quel legame
Non serve un’opera monumentale: servono spazi porosi, accessi, percorsi, luoghi d’incontro, accessibili, a tutti. In fondo, ogni città di mare è anche una città di margine: lì dove l’acqua incontra la terra, tutto diviene possibile. Il fronte mare è una soglia, non un confine. È lo spazio dove la città può reinventarsi, ritrovando la propria vocazione mediterranea. In molte città europee il mare è tornato a essere protagonista. A Marsiglia, il MuCEM ha trasformato un’area portuale chiusa in un luogo pubblico simbolico. A Valencia, la riqualificazione del porto ha dato vita a un nuovo quartiere culturale. A Barcellona, l’apertura del waterfront nel 1992 ha cambiato per sempre la percezione della città. E ora Palermo: anche Palermo ha saputo iniziare a ridefinire il proprio rapporto col mare.
Questione di identità
Badiamo bene: non è solo questione di turismo, locale, indigeno o straniero che sia o di estetica o di comodità. È proprio una questione di identità. Quando una città torna a guardare il suo mare, ricomincia a riconoscersi.
Per Catania, il mare non è, non dovrebbe essere, un problema da gestire, qualcosa su cui scatenare, rovesciare, malesseri ormai ancestrali, innescare ancora altre diatribe, ma un racconto da prendere e riprendere. Con attenzione e sensibilità. Riaprire quel dialogo significa ripensare i modi dell’abitare, della mobilità, della cultura, dell’economia, delle relazioni tra noi e tra noi e i nostri luoghi, le nostre cose, tra noi e ciò che è oltre.
Zero barriere
Significa restituire ai noi cittadini, senza che dobbiamo fare strada per averla, la possibilità di arrivare all’acqua senza dover passare da un varco industriale o da un parcheggio o da un locale. O dalle mille barriere dei cento lidi. E ora il nuovo porto che sarà. Il mare, per ogni città di mare, è una forma di memoria: la Memoria dell’Acqua, verrebbe da dire, ricordando un bel film, amaro e duro.
Che ci ricorda comunque, oltre la scienza e la letteratura, che ogni orizzonte è un invito a uscire da sé, a cambiare punto di vista. E di questo avremmo davvero bisogno. E allora forse la vera rigenerazione di Catania potrebbe cominciare da un gesto semplice: tornare a guardare, a poter guardare l’acqua. Non per costruirci sopra, ma per riconoscerci dentro. E immaginare l’oltre.
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Mario Caruso – Architetto, autore de L’Urlo
Architetto libero professionista dal 1990, Mario Caruso ha firmato importanti interventi pubblici e privati, distinguendosi per la visione sostenibile, bioclimatica e innovativa della progettazione architettonica. Laureato a Firenze, ha un lungo percorso accademico e professionale alle spalle, con esperienze in ambito universitario, consulenze per enti internazionali come UNESCO e MIBAC e attività progettuale in Italia e all’estero.
Fondatore dello studio Base51, ha lavorato su edifici NZEB, con una spiccata attenzione all’architettura antisismica e alle tecnologie costruttive avanzate.
Autore di pubblicazioni e fotografo d’architettura, ha un approccio multidisciplinare e una naturale inclinazione per la ricerca e la sperimentazione, anche nel campo dell’informatica e della comunicazione visiva.
Su L’Urlo firma la rubrica: “Città in corso” – Appunti di architettura, vite e trasformazioni urbane. Come sopravvivere in città, e magari pure felici. Uno spazio per raccontare, riflettere e indagare il paesaggio urbano con sguardo curioso, critico e umano.








