Lo si deve a Plutarco, autore greco delle insuperabili Vite parallele, vissuto nel primo secolo dell’era volgare, quell’approccio privo di preconcetti ai testi e alle fonti, rifiutato da noi contemporanei, faziosi più che mai, sempre portati al giudizio prima di approcciare i fatti. Nella prefazione degli Annales, Tacito, altro gigante della storiografia romana antica, si imponeva di affrontare le vicende biografiche di personaggi di spessore come Alessandro il Macedone o Gaio Giulio Cesare, con metodo scevro di scorie ideologiche, diremmo in chiave postmoderna, con indispensabile distacco dalla materia; lui stesso lo fissò con la perifrasi, sine ira ac studio. Alle condizioni descritte in premessa, in controtendenza con le correnti neo-moderniste, simili nei contenuti e nella narrazione alla storiografia classica, si sviluppa il saggio di Giordano Bruno Guerri, dedicato a Mussolini e intitolato Benito. Storia di un italiano, Rizzoli
Esigenza di revisione critica del periodo tra 1922 e 1943
In premessa, l’autore avverte dell’esigenza della revisione critica del periodo compreso tra il 28 ottobre 1922, data della marcia su Roma, fino al 25 luglio 1943, limite cronologico fissato per la caduta di Benito Mussolini, nella seduta del gran consiglio del fascismo, a fronte dell’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, votato dalla maggioranza. Estendendo l’indagine fino al brutale omicidio del duce e di Claretta Petacci, l’amante, compiuto il 28 aprile 1945 a Giulino. Peraltro, lo stesso Guerri è stato l’iniziatore, seguito da Renzo De Felice con la monumentale ricostruzione del fascismo e della figura di Mussolini, otto volumi, di questo filone storiografico, indispensabile quanto non mai per comprendere gli accadimenti. Soprattutto per smettere gli atteggiamenti da tifosi di curva, in favore del duce o contro di lui, privi delle indispensabili nozioni per capire il regime, il consenso di massa, l’esercizio del potere di Mussolini nel corso di vent’anni.
Ecco, il primo problema, avverte Guerri, consiste nello sceverare in un fenomeno essenzialmente plurale, appunto tra le varie anime del fascismo, di cui il mussolinismo fu prevalente per molteplici ragioni.
La vigilia della disfatta
Alla vigilia della disfatta, esattamente il 24 giugno 1943, lo stesso dittatore si rese conto di avere portato nel buio del baratro il destino dell’Italia, se interloquendo con il genero, Galeazzo Ciano sostenne: «Gli italiani del 1914 erano migliori di questi di oggi. Non è un bel risultato per il Regime, ma è così». Di peggiore nefandezza si era, all’epoca, già macchiato il regime con il brutale omicidio del deputato socialista, Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924, e avrebbe agito peggio, a seguire, lo stesso Mussolini, ordinando la fucilazione del marito della figlia, appunto Galeazzo Ciano, inducendo Edda a ricusare il cognome paterno per assumere solo quello del marito, fucilato a Verona l’11 gennaio 1944.
Dell’intelligenza di Benito Mussolini, guai a dubitare, fino a quando i disturbi legati a un’ulcera gastrica e a una probabile, ma mai diagnosticata ciclotimia, non ne offuscarono le facoltà mentali, se lui stesso, commentando l’instaurazione della dittatura, attraverso le leggi liberticide con relativo scioglimento dei partiti concorrenti, commentò così: «Il colpo fu vibrato al tempo giusto ed è stato mortale. Tutto quello che è accaduto, da allora in poi, nel nostro e nell’altrui campo, ha un riferimento a quella data fatale e fatidica». Ovvero, al 1926.
Mussolini enigma per Gandhi
Financo Gandhi, personalità esattamente opposta, rispetto al governante italiano, nato a Dovia, frazione di Predappio, si mostrò perplesso dopo averlo incontrato nel dicembre 1931: «Mussolini è un enigma per me… le [sue] riforme sono degne di uno studio imparziale…»
Naturalmente, l’opera di Guerri mette a confronto l’uomo con lo statista, quel suo tenere tanto all’educazione di Edda, maschiaccio scapestrato, anche degli altri figli. Ma anche la gelosia di Rachele Guidi, la moglie, della quale temeva le reprimende. Sul dolore per la morte di Bruno, il figlio, ufficiale della Regia Aeronautica, scomparso a 23 anni, il 7 agosto 1941, non si è sufficientemente indagato. Mussolini, uomo schivo e solitario malgrado le apparenze, scrisse addirittura il romanzo, Parlo con Bruno. Verisimilmente l’episodio contribuì a fiaccare, in uno con il decorso delle malattie la resistenza del dittatore, se nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 alle sollecitazioni del segretario del Partito nazionale fascista, Carlo Sforza e del consigliere del regno d’Italia, Roberto Farinacci, di rimandare la seduta, portò le mani al volto lasciandosi trascinare alla votazione, quella destinata a mettere fine alla ingiusta privazione della libertà nei confronti degli italiani.
La fine nota del mussolinismo
In diversi, con la moglie Rachele Guidi in testa, nel pomeriggio del 25 luglio 1943 avevano sollecitato Mussolini ad arrestare tutti i componenti del Gran consiglio del fascismo, tanto da indurre Dino Grandi, per via delle voci circolanti, ad entrare a palazzo Venezia, con due bombe in tasca. Con ogni probabilità non sarebbe cambiato nulla, il mussolinismo era, ormai, in caduta libera a causa di irrimediabili errori. Pertanto, la fine è nota, come riferì Vittorio Emanuele III al cavaliere, spogliato degli incarichi civili e militari, qualche attimo prima dell’arresto operato dal capitano Paolo Vigneri, originario di Calascibetta, «Della vostra [il re gli dava del voi] incolumità mi occuperò io. Tutte le madri italiane vi ritengono l’omicida dei propri figli».