C’è chi lo fa la notte del 31 dicembre. Chi aspetta la luna calante. Chi in silenzio davanti al mare.
Chi lo improvvisa in un momento qualsiasi, ma sentito, quando qualcosa dentro spinge. Il rito di lasciare andare è tra i più semplici e potenti che esistano. Non serve una religione, né credere negli spiriti, né chiamare l’esoterismo a gran voce. Basta creare uno spazio interiore e marcare, con gesti lenti, la fine di qualcosa.
Un foglio. Una candela. Del sale. Scrivi ciò che vuoi lasciarti alle spalle: un dolore, un legame, una paura, un’abitudine che ti blocca. Non serve raccontarlo a nessuno. Lo sai tu.
Poche parole tracciate a penna – nitide o confuse – che diventano materia.
Poi il gesto. Il fuoco.
Una fiamma che brucia quel pensiero. Che lo trasforma.
La cenere si deposita in una ciotola di metallo o terracotta, mentre il corpo osserva e il cuore inizia a mollare la presa.
Accanto, il sale: sulla soglia della finestra, in un piattino, ai piedi della ciotola. Il sale assorbe, raccoglie ciò che non serve più. Lo facevano gli antichi, lo fanno ancora molte culture che credono nel valore simbolico delle cose elementari.
E questo è il punto: il rito non ha potere “magico” in sé.
Ha senso perché tu glielo dai.
È esoterismo come linguaggio del profondo, non spettacolo.
Il fuoco non guarisce, ma segna
In una società che ci abitua a scrollare via tutto, a ignorare i vuoti, a non elaborare, un gesto così semplice diventa resistenza poetica.
Bruciare qualcosa significa vederlo finire.
E anche se è solo un foglio, quel passaggio lascia traccia. Resta nella memoria sensoriale.
Chi pratica questi riti parla spesso di leggerezza il giorno dopo, come se il corpo stesso avesse espulso una tensione invisibile.
Non è magia. È intenzione.
In molti studi contemporanei di psicologia e neuroscienze, i riti sono riconosciuti come strumenti di riorganizzazione interna.
Non importa se siano religiosi, simbolici o creati da noi: funzionano perché mettiamo intenzione e tempo in un gesto.
Perché ci fermiamo, e ci mettiamo dentro coscienza.
La nuova spiritualità – quella che non ha bisogno di dogmi – passa da qui: piccoli riti laici, intimi, rispettosi.
Una ciotola, un pezzo di carta, il buio.
Un modo per tornare presenti. Per accettare che qualcosa è finito, e che si può ripartire.