Sedici telecamere per un costo di 3,970,851 euro. Sono questi i numeri dei sistemi di videosorveglianza cinesi installati dalla Procura della Repubblica a Catania svelati dall’inchiesta di Weird sulla tecnologia Made in China.
Presa in considerazione l’intera Isola, invece, ci avviciniamo a circa 162 telecamere installate dalla Procura. Di queste, 25 dal Ministero dell’Interno e una a Noto dall’Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica). Le cifre degli appalti, complessive, superano i 15 milioni di euro.
La Dahua nella lista “nera” degli Stati Uniti
L’escalation delle aziende cinesi nel settore della sicurezza è iniziata nel 2017 in Italia con il colosso Hikvision. Quest’ultimo è gestito da CETC, un’azienda dello Stato cinese che sviluppa software militari, infrastrutture di difesa, armi elettroniche. Poi un altro importante nome ha iniziato a circolare nei documenti della Pubblica Amministrazione: la Dahua Technology. Quest’ultima fu inserita nella lista nera Entity List del Bureau of Industry and Security per il suo ruolo nella sorveglianza degli uiguri nello Xinjiang e di altre minoranze etniche e religiose in Cina dagli Stati Uniti.
Ma non è l’unica a vantare precedenti. L’intelligente britannica aveva invitato il governo a “guardarsi bene” da Hikvision invitando il governo a imporre limitazioni per prevenire spionaggio, sorveglianza e raccolta di dati. Hikvision è il più grande fornitore di servizi di videosorveglianza in Gran Bretagna, ma l’ipotesi avanzata dall’MI6 (l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito) è che in realtà, attraverso le telecamere gli hacker di Pechino siano in grado di ottenere numerose informazioni sensibili finalizzate a monopolizzare il mercato, sopprimere ogni opposizione al partito.
La situazione telecamere in Italia
In Italia, si contano almeno 2340 telecamere installate dalla Valle d’Aosta fino in Sicilia. Ma non si ha certezza che il conteggio, in realtà, sia decisamente più alto. Nell’inchiesta di Weird a cui fanno riferimento i numeri questi sono, infatti, parziali in quanto «di questi acquisti, molti dei quali transitati dai bandi della centrale di acquisto per la pubblica amministrazione, Consip, non esiste un elenco. Né in tutti gli atti consultati era indicato il numero di dispositivi. […] Nella mappa mancano gli acquisti di società private che offrono servizi pubblici, come i trasporti. Motivo per cui non si trovano le telecamere Hikvision installate in Rai o all’aeroporto di Fiumicino».
A fare la a parte del leone nella larga diffusione dei sistemi di videosorveglianza cinesi il bando in tre lotti del 2017 di Consip, centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana. L’appalto è scaduto nel 2018 ma con contratti esecutivi per 36 mesi siamo arrivati in un batter d’occhio al 2020. È tempo di un nuovo appalto, diviso in 10 lotti e dal valore di 65 milioni di euro le cui modalità di aggiudicazione sono ancora work in progress.
L’interrogazione parlamentare e la scoperta su Report
Lo scorso 22 novembre Enrico Borghi, deputato membro del Comitato permanente per la sicurezza ha presentato un’interrogazione parlamentare circa la sicurezza delle telecamere Hikvision: «In Cina questo tipo di attività non solo è consentito ma è organizzato, pianificato e messo in campo nell’ambito di una specifica organizzazione della società cinese».
Anche l’inchiesta condotta da Report con il supporto di Francesco Zorzi, consulente esperto di cybersicurezza ha svelato una realtà poco rassicurante. L’esperimento ha constatato come le telecamere di video sorveglianza della Rai targate Hikvision comunichino tra loro. Queste riuscivano ad inviarsi reciprocamente i i dati catturati e se connesse alla rete, aprire una connessione ad un soggetto esterno ossia un server situato negli Stati Uniti ed in Cina, più precisamente nella regione dove è ubicata la sede del colosso cinese.