Negli armadi italiani giacciono decine di vestiti dimenticati: maglie, jeans, cappotti che hanno smesso di essere indossati da tempo e aspettano silenziosamente un nuovo inizio. L’industria della moda è una delle più impattanti al mondo: genera circa il 10% delle emissioni globali di CO₂, e ogni anno nel mondo vengono prodotti e scartati milioni di tonnellate di tessuti. Per anni abbiamo vissuto la logica del “fast fashion”: abiti economici, belli per un giorno e prodotti per durare poco. Ma oggi qualcosa sta cambiando: molti cominciano a vedere nei vestiti usati non solo una scelta economica, ma un atto culturale e ambientale.
Il viaggio invisibile dei nostri vestiti
Quando un capo finisce nel cassonetto o nella raccolta differenziata, inizia un percorso poco noto. In Europa, ogni persona genera mediamente circa 16 kg di rifiuti tessili all’anno. Di questi, solo una minima parte viene raccolta separatamente e avviata al riciclo: ad esempio, se nel 2020 si sono generati circa 6,95 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nei Paesi UE, gran parte è finita ancora nei rifiuti indifferenziati. Il percorso di un capo “scartato” può essere diverso a seconda delle condizioni: se in buono stato, può essere riusato; se danneggiato o misto nei materiali, può essere trasformato in nuove fibre, imbottiture o materiali isolanti; ma spesso finirà in discarica o incenerimento.
L’Italia tra produzione e riciclo
In Italia, il fenomeno assume contorni significativi: secondo alcuni studi, nel 2020 l’Italia ha riciclato solo 0,8% del totale di rifiuti tessili generati. Nel 2019 si stimavano circa 480mila tonnellate di rifiuti tessili generati nel Paese. Al tempo stesso, il mercato del riciclo tessile italiano è in crescita: nel 2024 ha generato circa USD 315,3 milioni e si prevede che raggiunga oltre USD 423 milioni entro il 2033. Questi numeri indicano che c’è spazio per cambiamento, ma anche che la transizione sarà lenta e richiederà investimenti e cultura.
Il ruolo della Generazione Z e lo stile del riuso
La Generazione Z ha trasformato la sensibilità ambientale in moda e identità: per molti giovani comprare usato o rigenerato non è segno di rinuncia, ma di creatività. Il “thrift” e il vintage sono diventati linguaggi visivi sui social, capi con una storia che diventano dichiarazioni personali. I marchi più grandi lo stanno notando e stanno lanciando linee “pre-owned” o “circolari”, segno che il cambiamento non è solo estetico ma anche economico e culturale.
Verso una moda circolare
Riciclare i vestiti non significa solo dare loro una seconda forma, ma restituire valore al tempo, alla materia e al lavoro. Ogni abito riciclato racconta un secondo capitolo, una materia che non viene dimenticata. In Italia ci sono eccellenze, come nel distretto di Prato, dove la lana viene rigenerata da decenni, e nuove realtà che sperimentano tessuti ottenuti da scarichi agricoli o industriali. La moda del futuro, forse, non sarà quella che segue la stagione ma quella che sa durare.








