Medea era una bellissima maga. I poteri magici li aveva ereditati dalla zia Circe, la tenacia invece era il dono dal padre Eete fondatore della città di Aia. Disposta a tutto per amore di Giasone, uccise il fratello e lo zio, aiutando l’amato a conquistare il vello d’oro in cambio del matrimonio. Forse in quel momento Giasone avrebbe dovuto capire la sua sposa era disposta a tutto per lui. Anche uccidere i suoi figli. Colpevole di averla abbandonata per una donna più giovane, Medea agisce con freddezza pronta a recare il dolore più grande che un uomo possa provare: la morte di un figlio.
Medea si autoinfligge lo stesso dolore, anche nel vano tentativo di trovare ancora qualcosa che la leghi a Giasone. La prima madre figlicida della storia in realtà ci racconta molto delle altre dopo di lei.
Chi per vendetta nei confronti dell’ex partner, chi accecato dalla malattia mentale: in 20 anni, in Italia, sono 480 i bambini morti nelle mani di chi li ha cullati dal primo vagito. Le stesse braccia che avrebbe dovuto essere scudo contro la vita si sono rivelate lame affilate. Se inizialmente il caso della piccola Elena Del Pozzo ricordava in qualche modo quello di Denise Pipitone con tanto di appello da parte della madre di quest’ultima, il tragico epilogo lo accosta ad altri casi tristemente celebri. È stata Martina Patti, la mamma della piccola Elena, ad ucciderla dichiarando: «Non ero in me».
Gennaio 2002 – Cogne
Il delitto di Cogne, nel lontano 2002, sconvolse l’Italia intera. Il piccolo Samuele Lorenzi di 3 anni fu trovato dai soccorritori chiamati dalla madre, Annamaria Franzoni, con gravi ferite alla testa. L’arma del delitto non fu mai trovata. Un processo storico che vide come unica sospettata la madre di Samuele, la cui perizia psichiatrica rilevò come la donna fosse affetta da nevrosi isterica, e dunque incapace di elaborare in modo maturo le problematiche della quotidianità. Ma la Franzoni rigettò sempre l’ipotesi di infermità mentale e nella sentenza d’appello l’imputata fu ritenuta capace di intendere e di volere al momento del delitto. Condanna con sentenza definitiva dalla Corte di Cassazione, Annamaria Franzoni si è sempre dichiarata innocente. Ad oggi è una donna libera.
Depressione e suicidio: un filo che unisce le madri della cronaca nera
Qualche mese dopo il delitto di Cogne, a Valfurva, Loretta Zen uccide la piccola Vittoria, di 8 mesi, dopo averla messa in lavatrice insieme ai panni sporchi. Fu il padre, una volta rientrato a casa con l’altra figlia di 11 anni, a scoprire il cadavere della piccola. La Zen fu dichiarata non imputabile in quanto non in grado di intendere e di volere.
Due anni dopo a A Vieste (Foggia) nel luglio 2004 Giuseppina Di Bitonto soffoca i due figli, di 2 e 4 anni, tappando loro la bocca con del nastro adesivo per poi suicidarsi.
Crediti: La Repubblica
Un bimbo di cinque mesi a Casatenovo (Lecco) nel 2005 annega nella vasca per il bagnetto, a casa sua. La madre, Mery Patrizio, racconta che dei ladri erano entrati in casa. Lei era stata imbavagliata mentre il figlio Mirko, rimasto solo, era scivolato ed annegato nella vaschetta. Due settimane dopo confessa: «Sì ho ucciso io il mio bambino ma lo amavo». Tante le prove contro la donna che finisce in una struttura psichiatrica per sedici lunghi anni. Dal percorso di terapia emerge come Mery Patrizio abbia sofferto di depressione post partum.
L’8 settembre 2005 a Merano un bambino di quattro anni viene ucciso con sette coltellate dalla madre mentre stava facendo colazione con pane e marmellata. La donna, 39 anni, tentera il suicidio gettandosi da una finestra del secondo piano del commissariato di polizia durante l’interrogatorio. Successivamente la madre dirà: «È stato un momento di black out».
Il 20 luglio 2009 a Parabiago, in provincia di Milano, un’altra mamma uccide il figlio di 4 anni, strangolandolo con un cavo elettrico. La donna, 36 anni, soffriva di depressione ed era in cura in un centro psicosociale della zona. A trovare il piccolo, agonizzante, sono la nonna e la zia del piccolo. La mamma viene trovata a vegliare il cadavere del bimbo ancora in stato di choc.
È il 19 febbraio 2010 quando il marito di Tiziana Bragato, trova lei e il figlio morto nella loro villetta
di Ceggia (Venezia). La donna di 47 anni ha soffocato il figlio di sei anni e dopo si è impiccata. Si ipotizza che la donna avesse iniziato a soffrire di depressione.
Nell’agosto 2011 a Feniglia (Grosseto) Laura Pettenello uccide il figlio Federico, di 16 mesi, lanciandolo in mare durante una gita in pedalò. Inizialmente si pensò ad un incidente. Più tardi gli inquirenti scoprono che la donna aveva digitato continuamente le parole ‘infanticidio’ o ‘come uccidere un bambino’.
Il 6 marzo 2013 in Calabria una madre di 43 anni uccide il figlio di 11 anni con un paio di forbici. La donna ha fatto uscire prima del termine delle lezioni il bambino da scuola, lo ha portato in una zona di montagna e poi lo ha sgozzato. Successivamente tenta invano di togliersi la vita.
Il caso Lorys
Nel 2014 il ritrovamento del corpo di Lorys Stival sconvolge Santa Croce Camerina, a Ragusa. La madre, Veronica Panarello aveva denunciato solo poche ore prima le sua scomparsa. Quel corpino trovato in un canalone, a 4 chilometri dalla scuola che il piccolo Loris di 8 anni frequentava era solo la punta dell’iceberg di un altro caso tanto doloroso quanto popolare. La madre per lungo tempo affermò che ad uccidere il bimbo fosse stato il nonno con il quale intratteneva una relazione intima. Querelata dal suocero che ha respinto ogni coinvolgimento nella questione, Veronica Panarello è stata definita dalla perizia “con tratti disarmonici di personalità” ma non affetta da disturbi psichiatrici.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, la donna strangolò il figlio con delle fascette di plastica. Ma ad oggi continua a dichiarare la propria innocenza.
Viviana e Gioiele
Viviana Parisi e Gioiele Mondello sono scomparsi nell’agosto 2020 nelle campagne di Caronia, nel messinese. Non è da annoverare con certezza tra i casi di figlicidio, ma secondo la tesi della Procura di Patti la donna avrebbe ucciso il bambino per poi suicidarsi. A sostegno di questa ipotesi il fatto che «l’unico materiale rinvenuto sotto le unghie delle mani di Viviana sia stato il profilo genetico di Gioele», secondo quanto dichiarato dal Pm. Viviana aveva già manifestato diversi sintomi di fragilità mentale.
L’importanza di un supporto psicologico
I tristi casi di cronaca che ad ogni purtroppo continuano a riempire le pagine dei giornali spingono a riflettere sull’importanza di un supporto psicologico per donne e madri sole a sostenere un carico mentale eccessivo.