Immaginare un futuro che non sia già scritto. Fatto di speranza e possibilità. È lo scopo di CCO – Crisi Come Opportunità -, associazione che da oltre dieci anni realizza progetti nelle periferie, nelle carceri minorili e nelle scuole italiane, trattando tematiche legate alla cittadinanza attiva, alla questione di genere e alla lotta alle mafie. E che, grazie ai laboratori di musica rap del Presidio Culturale Permanente, è entrata anche all’Istituto Penitenziario Minorile di Acireale. Con un progetto ideato da Luca Caiazzo, in arte Lucariello, rapper e socio di CCO che ha realizzato con i ragazzi il brano Amore Amaro: per ripensare l’amore con lo scopo di combattere la violenza di genere.
Un percorso fatto di lezioni settimanali con artisti e insegnanti qualificati, che guidano laboratori di scrittura e registrazione di musica rap. Amore Amaro nasce in questo terreno fertile, dove le voci dei giovani si incontrano e raccontano pensieri carichi di significato: «Abbiamo chiesto ai ragazzi di raccontare l’amore nel modo più genuino possibile, senza filtri. Riflettevamo su questo concetto a seguito di un brutto fatto di cronaca, lo stupro di gruppo a Caivano, in Campania. Sono felice di quello che ne è venuto fuori: un messaggio puro, senza fronzoli e senza ombra di retorica», spiega Maurizio Musumeci, in arte Dinastia, artista che collabora con l’associazione.
Com’è stata accolta dai ragazzi dell’istituto l’idea di avvicinarsi all’arte e alla cultura?
«È un’iniziativa che abbraccia più tipi di arte. Oltre alla musica, facciamo anche spettacoli teatrali e abbiamo avviato un podcast. Attraverso il rap abbiamo la fortuna di lavorare con un genere musicale che parla ai ragazzi in modo diretto e forte. Quando abbiamo iniziato, il nostro primo obiettivo era regalare loro ore di svago attraverso la musica che ascoltano tutti i giorni. Poi li abbiamo stimolati con la scrittura, carta e penna, per imparare anche a esprimere le proprie emozioni. Ed è stato bello vedere anche chi non aveva voglia decidere di scrivere comunque, per fissare i propri pensieri come in un esercizio terapeutico. Avevano la voglia di mettersi in gioco».
Un metodo che dà loro la possibilità di pensare a un progetto più grande: il loro futuro.
«Esatto, per me è stata un’esperienza umana fortissima: ho trovato un gruppo di ragazzi che, nonostante le difficoltà, riescono a essere un gruppo unito, perché condividono delle storie intime e si ritrovano a doversi e volersi mettere a nudo. Alcuni di loro hanno anche una sensibilità artistica forte e con questo progetto hanno avuto la possibilità di scoprirla».
Avete scovato qualche talento?
«Sì, ho lavorato in particolare con un ragazzo che ha un’inclinazione per la musica rap e ho voluto fargli capire che questo può diventare un mestiere. Non solo per se stesso ma anche per i pezzi di altri artisti. È bello aiutarli a sognare così come sogna chi sta fuori da quelle mura. Ma è anche capitato che con i ragazzi decidessimo solo di trascorrere il tempo insieme, senza scrivere musica, quando magari le giornate erano un po’ più difficili. Questo aiutava anche noi perché, a volte, basta farsi compagnia, ascoltarsi. Si è creato uno scambio vero: siamo rimasti a lavorare con loro anche durante il periodo natalizio».
C’è una coerenza di fondo con il tuo percorso artistico?
«Sì, io mi occupo dell’ambito sociale nella mia musica, in passato ho fatto anche tour dedicati ai temi della legalità e dell’antimafia. Per questo ho preso parte a questa iniziativa con grande entusiasmo. Penso che il rap sia un genere che si presta alla fusione con altri tipi di musica, che sia un linguaggio che si evolve insieme alle comunità e che possa fungere da mezzo di comunicazione forte, soprattutto per affrontare temi di questo tipo. È stato bello aver preso parte a un progetto che può diventare stimolo alla rieducazione sociale e culturale».