“Mio figlio era pulito, non era un diverso”: testimoniava così il padre di uno degli “ziti” uccisi a Giarre nel 1980. Una comunità così piccola, in un secondo si era vista protagonista di quello che sarebbe stato uno scandalo nazionale.
I corpi di Giorgio Agatino Giammona e Antonino Galatola sono stati ritrovati abbracciati il 31 ottobre 1980, ma i due giovani erano scomparsi quasi due settimane prima. 25 anni uno 15 l’altro erano una coppia a tutti gli effetti: stavano sempre insieme, giravano a bordo del Ciao di Giorgio per le strade di Giarre davanti agli occhi di tutti. Le voci giravano nel paradosso del silenzio che echeggiava dinanzi a questi due ragazzi uniti da questo amore considerato “proibito”.
Oltre 40 anni fa, a Giarre si fece la storia dei diritti civili in Italia
«Questa vicenda nasce in un anno molto complicato – racconta Paolo Patanè ex presidente nazionale di Arcigay – nel 1980 l’Italia ha vissuto di tutto: dalla strage di Bologna al terremoto dell’Irpinia. Quindi un tale episodio di cronaca nera, così come appariva all’inizio, sarebbe potuto anche passare inosservato. Ma così non è stato».
Il delitto di Giarre fu il segnale che mise in moto la vera azione verso la conquista dei diritti civili, l’eco che raccolse gli “invisibili”.
«Il 1980 è l’anno prima dell’abrogazione del delitto di onore, insomma si può ben comprendere il clima di abberazione culturale in cui si svolge una vicenda che vede come “colpa” l’omosessualità. All’epoca io avevo solo 13 anni, il mio sguardo era quella di un ragazzino consapevole della propria identità ma ancora non in grado di ammetterlo. E ogni volta che incrociavo Giorgio e Tony vedevo in loro ciò che mi mancava», dice l’ex presidente nazionale di Arcigay.
“La fuitina di sesso”
Giorgio era stato già scoperto dai carabinieri di Giarre in atteggiamenti “intimi” con un altro giovane in auto. Era scattato per lui, così in automatico, l’appellativo di “puppu”. Quando ha iniziato a fare coppia con Antonio, il nomignolo, invece, si è trasformato in “gli ziti”.
«Il paese lo diceva, era un’ingiuria. Ma secondo me il loro marchio non si era costruito in quanto amanti bensì perchè erano innamorati. La loro vicenda individua il primo caso o forse l’unico di un assassinio di coppia e ciò li rende precursori, li rende stroardinari», sottolinea Patanè.
Quando i due spariscono, a Giarre inizia a spargersi la voce che si trattasse di una “fuitina di sesso”. Man man che passano i giorni i commenti da bar iniziano a farsi sempre più duri. Le ricerche, infine, portano al rinvenimento dei due cadaveri a 500 metri dalla caserma dei carabinieri. Una zona già pattugliata più volte. Ciò che è certo è che i giovani non siano morti nel giorno del ritrovamento in quanto i corpi si trovano in avanzato stato di decomposizione. Molto probabilmente la loro vita si è spezzata nel giorno stesso della scomparsa.
Suicidio d’amore o delitto?
Adesso tra gli agrumeti dove il sogno d’amore di Giorgio e Toni si è infranto, tutto è stato ricoperto dal freddo cemento. Il delitto della giovane coppia, anche all’epoca, era qualcosa che andava nascosta: il paese doveva dimenticarlo al più presto.
In un primo momento la tesi più plausibile risultò il suicidio: quella relazione era troppo dolorosa da vivere alla luce del sole. Una lettera in cui i due giovani salutavano le madri ne era la prova. Le indagini potevano dirsi concluse o meglio era più che conviente che fosse così. Ma pochi giorni dopo venne ritrovata la pistola.
La terza vita rovinata di questa oscura storia fa la sua comparsa: Francesco Messina.Il 13enne, nipote di Antonio, si autoaccusò: aveva premuto il grilletto di una 7,65 sotto minaccia dei due innamorati che volevano morire. A seguire il caso fu il sostituto procuratore Giuseppe Foti che sostenne l’innocenza del bambino. Ma successivamente il delitto venne affidato al priore di Giarre.
«Nessuna prova calligrafica, non venne fatto neanche il guanto di paraffina – aggiunge Paolo Patanè – venne data per buona la storia dell’esecuzione per mano di un soggetto impunibile. Il caso finì lì fino a quando il bambino venne raggiunto da un giornalista del quotidiano L’Ora di Palermo. Messina ritrattò, disse che era stato percosso e costretto a rilasciare quelle dichiarazioni per salvare il nonno di cui portava il nome. E la cosa sollevò un clamore incredibile».
Da quel momento, la vita di Francesco Messina cambiò per sempre. Un bambino si era preso la responsabilità di un adulto, era stato costretto a crescere da un giorno all’altro. Attualmente “l’esecutore” fa entra ed esci dalle carceri.
La nascita dell’Arcigay parte da Giarre
Così le stradine di Giarre si riempirono di militanti politici del movimento LGBT, arrivò l’associazione “Fuori!”, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, la prima associazione gay italiana.
«Il giorno prima il preside venne in classe dicendoci che aveva già avvisato le nostre famiglie di non farci uscire – ricorda Patanè -. Questo era il clima: Giarre subito dopo il funerale scelse di rimuovere, voleva nascondere sotto il tappetto e dimenticare Giorgio e Antonio. Per decenni ci è riuscita, ma quel filo invisibile ha cambiato la storia di un paese».
La nascita del primo circolo Arcigay avvenne a Palermo, cinque anni dopo un altro punto di riferimento venne fondato a Bologna. La vicenda fu inghiottita dall’oblio, ma la sua impronta è stata fondamentale: l’Italia ha conosciuto l’omofobia per la prima volta, ha visto la strumentalizzazione di un amore per simulare un suidicio.
La memoria restituita da Francesco Lepore
Proprio ieri è stato presentato a Palermo “ll delitto di Giarre 1980: un caso insoluto e le battaglie del movimento LGBT+ in Italia” la ricostruzione del caso a cura del giornalista Francesco Lepore. Presenti nella sala delle Lapidi del Municipio del Capoluogo il sindaco Leoluca Orlando, il sottosegretario al Ministero dell’Interno Ivan Scalfarotto, la senatrice di Forza Italia Barbara Masini, l’ex deputata del Pci Angela Bottari, l’ex presidente nazionale di Arcigay Paolo Patanè e il fondatore “Fuori!” di Palermo Giuseppe Di Salvo.
«È stata restituita la paternità di una serie di fatti ed eventi che sono derivanti da questo assassinio. Più questo libro prendeva forma più testimonianze emergevano. Esiste un crimine che si aggiunge al crimine quando si presenta l’ingiustizia ed è la comoda rimozione, la complicità che si crea nell’alzare questo muro. Giarre ha prodotto una storia, e io sono figlio della stessa Giarre che mi ha visto presidente nazionale di Arcigay».
Dalla vergogna di una famiglia è stato fatto il primo passo verso i diritti civili.