E come spesso nello stile di Labiche, una storia tragicomica, per “Il delitto di Via Dell’Orsina” in scena al teatro Stabile di Catania fino al 26 febbraio. Uno degli atti unici più conosciuti di Eugène –Marin Labiche, tradotto da Giorgio Melazzi e Andrée Ruth Shammah e con la regia adattata e ‘rivisitata’ di quest’ultima.
La prima scelta della regista è stata quella di trasportare l’azione dalla Francia borghese ottocentesca
all’Italia conformista del primo dopo dopoguerra. Poi ha voluto inserire nella complessa scenografia di
Margherita Palli pezzi di altre opere di Labiche e anche nuovi personaggi (i camerieri: due generazioni a
confronto) per arricchire la gamma dei sentimenti. L’ultimo tocco è la musica composta all’uopo da
Alessandro Nidi.
Tutto ruota attorno ad una trama noir
Un uomo, reduce da una rimpatriata notturna e ben innaffiata di vino, con vecchi compagni di collegio,
svegliandosi si ritrova uno sconosciuto nel letto.
Di quello che è accaduto nella notte, dopo il raduno, entrambi (un ricco nobile ed elegante e un proletario
rozzo e volgare) non ricordano niente. Mani e tasche sporche di carbone, una scarpa femminile e una retina per capelli sono gli unici indizi attraverso cui tentano di ricostruire quanto accaduto.
Un giornale riporta che una giovane carbonaia è morta quella stessa notte e tra malintesi ed equivoci i due
sospettano di essere gli autori di quell’omicidio. Nel tentativo di eliminare le prove del delitto, e di salvare il loro ‘prezioso perbenismo’, si dimostreranno capaci di compiere le azioni più efferate… anche se…
Scrive Andrée Ruth Shammah, regista di oltre cento lavori teatrali e artista a tutto tondo oltre che imprenditrice: «Appena l’ho letto ho pensato che sarebbe stata una grande sfida, un’opportunità per una regia sorprendente. L’ho vissuta come una scommessa, come la possibilità di dare vita ad uno spettacolo leggero e divertente ma allo stesso tempo profondo. Una riflessione sull’insensatezza e l’assurdità della vita».
Il testo infatti pur mantenendo la struttura della pochade e del gioco degli equivoci dà vita a molte inquietudini. Si tratta di un vaudeville noir, con suggestioni beckettiane, che fa ridere e pensare in un’atmosfera di disorientamento che è anche quello odierno.
L’autore Eugène-Marin Labiche (Parigi 1815-1888), accademico di Francia fu insieme a George Feydeau,
tra gli esponenti più importanti e rappresentativi del vaudeville, con la sua produzione di circa 174 opere
teatrali.
Ma quali sono le origini del vaudeville, commedia intrigante, leggera e brillante, che dal nome di
un canto popolare satirico, passò a indicare le canzoni inserite in un particolare spettacolo teatrale e lo
spettacolo stesso?
Dobbiamo partire da lontano,dall’opera buffa,una filiazione, è noto, dell’opera seria, d’élite riservata alle corti, che a sua volta raccoglieva l’eredità della tragedia classica e delteatrorinascimentale.
Creata a Firenze dalla Camerata dei Bardi,già alla sua nascita, tra Cinque e Seicento, aveva acceso una vivace querelle circa la supremazia degli elementi-serio e faceto, canto e recitazione- che la compongono. L’esclusione dell’elemento comico dal teatromusicale serio e le istanze illuministiche di apertura a un pubblico più vasto determineranno appunto la nascita dell’opera buffa, dapprima informa di intermezzi che venivano eseguiti negli intervalli delle opere ‘serie’: vere e proprie “commedie permusica”.
Verso la fine del XVII secolo anche il vaudeville lasciava le strade e le locande per approdare nei teatri parigini. Già dagli inizi del XVIII secolo, tra un atto e l’altro dell’opera seria, si è detto, venivano inseriti brevi intermezzi comici cantati e improvvisati, conosciuti anche come Pièces en vaudeville per divertire il pubblico e alleggerire il dramma principale.
Con la riforma di Apostolo Zeno e Metastasio, e poi di Gluck,si stabilirono canoni formali. Fu Carlo Goldoni a mettere in scena dal 1748 il dramma giocoso,sentimentale opateticoma con un lieto fine. Mozart avrebbe sviluppato le suggestioni goldoniane scatenando in Francia la ‘querelle des bouffons’ dopo la rappresentazione de ‘La serva padrona’ di Pergolesi(un intermezzo in verità preceduto dal ‘Trionfodell’onore’ di Scarlatti).
Rossini e Donizetti segneranno iltrionfo dell’opera buffa sviluppatasi tra Napoli,Roma e Venezia. Parallelamente,dunque,tra Sette e Ottocento(ma con radici più antiche)si sviluppava il vaudeville, mentre in Italia prevaleva la denominazione di pochade.
Durante la Rivoluzione, il vaudeville assumeva la doppia funzione di divertire e di diffondere gli ideali
rivoluzionari, e continuava le sue rappresentazioni durante tutto il periodo napoleonico e negli anni della
restaurazione.
Dopo soprattutto Feydeau e Labiche segnarono la grande fortuna di questo genere teatrale.
Seguiranno, perfiliazione, l’operetta con l’accentuazione dell’elemento coreografico e,in tempi più vicini, il varietà e il musical presto neutralizzati dalla concorrenza della rivista.
Al recupero della memoria di una trancia di storia dello spettacolo si è aggiunto, nella serata della prima, il divertissement assicurato da un cast di ottimi attori ampiamente applauditi dal pubblico.
Per dirla con Emile Zola: “Tra Molière e Labiche vi è solo un abisso: l’amarezza. È come un fiume che scorre nelle
opere dei grandi osservatori. Chi conosce gli uomini, prova amarezza, e questo gusto amaro è quasi
sempre come il sapore stesso della genialità. Gettate via la ferula, ma tenete in mano la frusta”.
Interpreti:
Massimo Dapporto/ Zancopè, Antonello Fassari/Mistengh, Susanna Marcomeni/ Norina,
Marco Balbi/ Potardo, Andrea Sofflantini/ Amedeo, Christian Pradella/ Giustino, Luca Cesa-Bianchi/
Uomo Sagoma.
Musiche: Alessandro Nidi
Scene: Margherita Palli
Costumi: Nicoletta Ceccolini
Luci: Camilla Piccioni
Sagome tratte dalle opere di Paolo Ventura
Produzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana.
Foto Davide Sgroi