Tra il dire e il fare c’è di mezzo il cominciare
Siamo nati per essere un inizio

Una scuola, una classe, contengono un capitale umano inestimabile. Ogni bambino è una possibilità di successo o fallimento per questo mondo. Ogni alunno è una promessa, è un inizio.
Un bravo insegnante non si misura con i bravi studenti, con quelli senza difficoltà di apprendimento o con coloro che appartengono a famiglie “normali”, serviti, riveriti e seguiti.
Un bravo insegnante si misura con chi naviga immerso in un mare di difficoltà, con chi prova a fare ordine in una vita spezzata, con chi, spesso inconsapevolmente, è alla ricerca continua di un significato.
I bambini con difficoltà nascono due volte. La seconda è una rinascita ed è totalmente affidata all’intelligenza del mondo adulto, soprattutto alla scuola.
Platone ci ha insegnato che l’inizio è una divinità e finché è tra gli uomini salva ogni cosa.
Siamo nati per essere un inizio, per cominciare qualcosa, per rinnovare, attraverso nuove scoperte e nuove emozioni, la nostra storia.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il cominciare che, inevitabilmente, diventa un divenire.
Mi piace in questo contesto citare H. Arendt, una delle più grandi pensatrici e filosofe del ‘900. La filosofia quando è grande è qualcosa di semplice e quotidiano, ma non per questo diventa meno misteriosa. H. Arendt si è confrontata con la condizione umana e quindi la sua concezione della vita coinvolge ogni aspetto dell’esistenza.
Educare è vivere. Se l’educazione è esperienza, impariamo sempre qualcosa vivendo. La filosofa si è relazionata proprio con la condizione del vivere umano tracciando determinate categorie pedagogiche delle quali oggi noi educatori non possiamo fare a meno.
La prima categoria con cui l’Arendt pensa l’esistenza è la fragilità, causata soprattutto dall’imprevedibilità. Qualunque scelta educativa mettiamo in atto non sappiamo mai quali effetti potrà produrre. L’unico modo per controllare il futuro è la promessa, cioè una memoria che si rivolge al futuro, un impegno che non va deluso. Uno dei paradossi dell’educazione è proprio che essa non contiene certezze, ma fa promesse.
L’educatore quindi, pur non potendo controllare ogni aspetto della sua azione educativa, è responsabile delle conseguenze. Deve cioè “rispondere” di ogni sua scelta.
Tra l’altro, se esistesse un metodo infallibile, l’educazione non esisterebbe ma ci sarebbero soltanto condizionamento e addestramento.
La pedagogia, sempre intrecciata alla libertà, è una scommessa, un continuo inizio che promette cambiamento.
L’uomo è stato creato per essere un inizio grazie alla sua capacità di dare inizio.
E che cos’è l’educazione se non questo iniziare, sempre, qualcosa di nuovo? Che cos’è l’apprendimento se non questo nascere e rinascere ogni volta?
È che cos’è l’infanzia se non questo miracolo continuo che rinnova il mondo?