Ci ha molto stupito Racconti Inanimati uscito lo scorso dicembre, che volutamente abbiamo scelto di non recensire per far ‘parlare’ chi lo ha scritto. Non è stato semplice mettersi in contatto con Gianni Bodo, ex medico nato nella bassa vercellese, ma dall’età di sei mesi trasferitosi a Torino dove ha fatto tutte la trafila fino a giurare su Esculapio, per tornare a casa, qualche anno fa.
Una vita al servizio delle vite’, che da tre anni prosegue, ma non più in camice e bisturi ma con la penna e la carta, scrivendo un libro che può tranquillamente rientrare nella forma di uno pseudo abbecedario dal titolo Racconti inanimati, pubblicato per Emersioni.
Grazie alla sua agente letteraria, nel complesso movimento tra zone colorate della nostra Italia, riusciamo a sentirlo e con un’ottima accoglienza e raffinata lingua, ci apre le porte di casa. Il dott. Bodo è un signore discreto e gentile ma anche molto umile. Essere pubblicati per una delle indipendenti del gruppo LIT è sogno di molti, lo stesso mi racconta, che lui ha inviato il dattiloscritto e che si è ritrovato in questa meravigliosa realtà. Gli propongo la rubrica dentro la rubrica “5 domande per 5 motivazioni“. Mi chiede come si struttura e non esce risposta, perché iniziamo una lunghissima chiacchierata che ci permette di averla già pronta da pubblicare.
Che aspettative nutre per il suo Racconti inanimati?
«Considero Racconti Inanimati come il mio secondo esordio letterario, anche se in realtà già nel 2004 avevo vinto un concorso letterario (Proposte Letterarie – Concorso Letterario Internazionale Elsa Morante – Roma) con il romanzo Palla di Lardo. Purtroppo, alla faticosa ed economica pubblicazione del libro non seguì un’adeguata pubblicità, con anzi una totale assenza di distribuzione, per cui Palla di Lardo se ne sta lì in attesa di tempi migliori. Per inciso, il romanzo è ambientato in quel piccolo paese della bassa vercellese dove sono nato».
Cosa l’ha spinta a scrivere dell’argomento che tratta in Racconti Inanimati e per chi e perché?
«Ho scritto Racconti Inanimati per una specie di sfida. Un giorno di tanti anni fa ascoltai le lamentele di un’infermiera che seguendo uno dei tanti corsi cui l’Azienda obbligava a frequentare doveva scrivere una, al massimo due paginette su di un mattone. La cosa mi incuriosì al punto che pochi giorni dopo mi presentai con un racconto in cui un mattone raccontava la sua storia e per qualche tempo quel racconto ottenne una certa notorietà in un ristrettissimo e confinato ambiente ospedaliero. Tempo dopo ricapitandomi sotto gli occhi quel file, mi posi la domanda cruciale: se ero stato in grado di scrivere un bel po’ di pagine su di un mattone, perché non scrivere altri racconti con protagoniste altre “cose inanimate”? E per rendere il tutto ancora più difficile, perché non abbinare queste “cose” alle lettere dell’alfabeto?».
Emersioni, un tempo collana di Castelvecchi, oggi una realtà affermatissima autonoma nel panorama dell’editoria indipendente, facente parte al gruppo LIT: come è riuscito ad approdarvi?
«Sono approdato a Emersioni grazie alla mia editor Michela Tanfoglio. Inutile dire che devo tutto a lei. Grazie Micky!»
Una domanda fuori tema, ma in qualche modo che rientra: i premi letterari, crede nella loro trasparenza o sono pilotati?
«Non ho grosse esperienze con i Premi Letterari. Dovrei parlarne bene, visto che all’unico cui ho partecipato sono risultato vincitore, ma non sono così ingenuo. Un aneddoto personale per chiarire il mio pensiero. Anni fa venni convinto da un amico e collega a partecipare all’annuale concorso letterario della Lega per la Lotta contro i Tumori. Scrissi il mio racconto, attenendomi fedelmente alle regole del concorso: numero di battute e di pagine, tipo di interlinea, capoversi, ecc. Soprattutto si raccomandava che nel racconto vi fosse un preciso riferimento ai tumori e alla loro prevenzione. Chi vinse quel concorso? Un medico già plurivincitore del concorso, ben conosciuto da tutti i giurati che aveva scritto uno stucchevole e noioso racconto sulla morte di Socrate!».
Cosa farebbe emergere nel presentare a un lettore il suo Racconti Inanimati?
«Non sono un professionista dello scrivere. Ho svolto per 40 anni un altro mestiere, bellissimo, impegnativo, difficile, ma con poco tempo per la scrittura, che richiede una dedizione che può arrivare alla devozione e talvolta all’ossessione. Forse quello che potrebbe emergere è la sorpresa. Noi ‘Ettori‘ siamo sempre sorpresi quando succedono belle cose».
Cioè?
«So che ci vuole una spiegazione e quindi procedo a darla. Le caratteristiche di un uomo, il suo modo di essere e di concepire la vita si evidenziano alla prima lettura dell’Iliade. E’ lì che uno decide se essere Achille o Ettore. Una decisione senza ritorno che si riverbera anche sulla squadra di calcio per cui tifare. A Torino, chi sceglieva Achille tifava Juventus, chi sceglieva Ettore tifava Toro e chi mastica qualcosa di calcio sa bene cosa vuol dire questa scelta. A suo tempo scelsi immediatamente Ettore senza sapere che essere Ettore vuol dire che nella vita niente ti verrà mai regalato e che tutti i tuoi successi avverranno con fatica, sforzo e con tempi molto dilatati. Come tutti gli Ettori di questo mondo amo la pittura ad olio, i presepi, i soldatini napoleonici, il profumo del sigaro, il blues suonato sulla mia Gibson, l’odore della segatura, il panno verde del biliardo, il tennis, lo sci e mille altre cose. Ma proprio perchè Ettore, disperdendo il mio potenziale in mille rivoli, difficilmente riesco ad arrivare in cima ma debbo fermarmi sempre qualche tornante prima. Per questo parlavo di sorpresa. Questa volta sembra che Ettore ce l’abbia fatta».