L’ivermectina funziona bene ma la sua somministrazione non è autorizzata in Italia.
Partiamo però dall’inizio. In una lunga e approfondita intervista il prof. Bruno Cacopardo, primario del reparto di “Malattie infettive” dell’ospedale Garibaldi Nesima di Catania e fin dall’inizio in prima linea per combattere il Covid, ci spiega come agisce il virus e come lo si può trattare.
«Il covid è una malattia che sviluppa in due fasi. La prima dura tra gli 8 e i 9 giorni ed è caratterizzata dalla moltiplicazione del virus. Si tratta però della fase più blanda, in cui la malattia somiglia molto ad una banale influenza. In questo fragente può essere decisivo intervenire tempestivamente con un farmaco antivirale utile per bloccare la moltiplicazione del virus che è fattore scatenante della seconda più difficile fase.
La seconda fase, quando insorge, giunge tra il nono ed il decimo giorno. Ovvero quando i pazienti si presentano in ospedale.
Nella seconda fase la replicazione del virus si arresta improvvisamente per lasciare posto ad una reazione infiammatoria indotta per l’appunto dalla replicazione del virus».
Quindi quali considerazioni si possono trarre?
«La polmonite che interviene in una seconda fase non è virale ma è scatenata da meccanismi infiammatori. La somministrazione di un antivirale è bene farla il più presto possibile per sortire effetti e no quando – di norma – il paziente si presenta in ospedale. Dopo nove o dieci giorni non c’è più virus o si presentano pochi inunfluenti residui di esso.
L’antivirale non ha dunque più senso quando finisce la moltiplicazione del virus e inizia l’infiammazione?
«Questa è una malattia sensibile all’azione degli antinfiammatori perchè la sua espressione clinica più grave è legata all’infiammazione più che al virus. È il motivo per cui ci rifacciamo ad uno standard che si basa sull’azione antinfiammatoria del cortisone, estremamente utile, e dell’aspirina».
La Tachipirina invece non va bene?
«No, perchè non ha azione antinfiammatoria.
L’infiammazione cosa colpisce?
La malattia è caratterizzata da una infiammazione dei vasi sanguigni che provoca microtrombosi diffuse. Da qui diventa essenziale, oltre all’azione antinfiammatoria, quella anticoagulante esercitata attraverso la somministrazione dell’eparina.
L’unica terapia approvata in Italia per la cura del Covid è quella che prevede la somministrazione del remdesivir
«Che ha senso solo nella prima fase perchè si tratta di un farmaco antivirale. Inutile intervenire con il remdesivir quando tutto dipende dall’infiammazione.
Remdesivir invece funziona se associato ad un potentissimo farmaco antinfiammatorio reumatoide. Così come abbiamo potuto accertare».
Vogliamo specificare che ovviamente la seconda fase, quella più drammatica, non arriva per tutti.
«Certo. Su 100 persone che partono tutte con la stessa malattia contemporaneamente, il numero degli ammalati si ridurrà con l’avanzare della malattia. Ciò dipenderà dai vari meccanismi immunologici che ciascuno ha e che consentono di rallentare la malattia in qualsiasi fase.
Per cui la malattia può bloccarsi anche spontaneamente in base alle risposte immunitarie di chi la contrae».
Parliamo dell’ormai famosa ivermectina. Lei ha l’autorizzazione del comitato Etico?
«Ancora no, dovrei riceverla martedì».
Ha dei dubbi? Teme che l’autorizzazione possa ritardare?
«Temo di sì. Il farmaco agisce su alcuni parassiti e su taluni vermi che colpiscono sia l’animale che l’uomo. Curiosamente, in Italia è approvato solo per uso veterinario. La cosa mi stupisce perchè in Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera e Olanda è approvata anche per uso umano al fine di curare una patologia assente in questi paesi ma endemica in Sicilia. Proprio nella nostra isola esiste lo strongyloides che è un verme che colpisce l’uomo ed è diffuso sia tra i migranti che tra le popolazioni autoctone in Italia, eppure il farmaco non è approvato sull’uomo».
Ma perchè?
«Ho parlato con l’azienda farmaceutica ed hanno riconosciuto che è una anomalia legata ad aspetti business».
Lei punta molto su questo farmaco
«Siamo in presenza di una malattia che non ha uno standard determinato. A parte il cortisone e l’eparina sono andato alla ricerca di opzioni e ho notato che 1) l’ivermectina utilizzata frequentemente sui virus, agisce sia come antivirale che come antinfiammatorio. Quindi entrambe le componenti in un unico farmaco 2) esistono tutta una serie di studi – almeno un centinaio – che hanno documentato l’efficacia di ivermectina nella malattia da covid-19. Questi studi, da revisioni meta-analitiche, sono tutti favorevoli eccetto uno».
L’ivermectina ha effetti collaterali?
«È quasi privo di effetti collaterali, anche rispetto al Remdesivir.
Le racconto questo. Lo stanno provando a Negrar in provincia di Verona presso l’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria”. Il mio collega Zeno Bisoffi lo ha sperimentato su sé stesso: ha assunto ivermectina 15 volte superiore alla dose necessaria per guarire da covid. Mi ha riferito semplicemente di essersi fatto una grande dormita senza alcun effetto collaterale. Smentisco categoricamente alcun effetto avverso. Può essere usato a tutte le età. È chiaro che bisogna stare più attenti – come per qualsiasi farmaco – ai soggetti che hanno cirrosi epatica o insufficienza renale».
C’è poi quel caso, fuori dai suoi pazienti ma da lei testimoniato, che si è negativizzato in pochissimo tempo
«Un medico che lavora nel mio stesso ospedale era positivo da tre mesi e dopo aver assunto ivermectina si è negativizzato in 36 ore dalla prima pillola.
Lui rientrava nei casi di singoli individui che sono long term replicators ovvero replicatori a lungo termine del virus e che quindi tardano ad eliminarlo. Non accade frequentemente ma succede a taluni che sono asintomatici ma continuano a risultare positivi al virus per tanto tempo».
L’ivermectina è un farmaco antico che si usa, almeno altrove, soventemente?
«Esistono delle nazioni nel Sud America dove ci sono una serie di malattie da vermi trattate con questo farmaco e qui l’ivermectina è usata per somministrazioni di massa alla popolazione. Succede ad Asuncion del Paraguay o nello stato messicano del Chiapas. In queste aree il covid è estremamente meno diffuso».
Parliamo dei suoi pazienti
«Io ne ho trattato 6 e tutti sono andati benissimo. Volendo allungare i tempi sono guariti tra i 3 e i 5 giorni. Ho potuto operare la somministrazione su pochi casi perchè vi abbiamo fatto ricorso come cura compassionevole».
In pratica mi sta dicendo che erano persone senza speranze ed in fin di vita
«Sì, come il caso di Padre Verzì, parroco di Biancavilla (Ct) che era alle soglie dell’intubazione. Intendiamoci non è la panacea però è un farmaco che può sinergizzare con altri e dare ottimi risultati. Associato al remdesevir o con il cortisone funziona ancora di più»
Al di la del farmaco è meglio evitare l’ospedalizzazione
«Questo è l’obiettivo della terapia con anticorpi monoclonali. L’ideale è una terapia domiciliarie precoce per via endovenosa – e quando sarà possibile per bocca – con gli anticorpi monoclonali. Si rivela meno utile il trattamento con gli anticorpi monoclonali quando interviene tardivamente. C’è un altro lavoro molto interessante su un altro farmaco reumatoide la colchicina che a Montreal ha documentato una riduzione della mortalità del 49%. Efficace però sempre con un intervendo in una prima fase».
Al contrario dell’ivermectina
«Che a mio pare copre tutte le fasi. L’ideale di queste terapie comunque è la sinergia. La gran parte delle malattie virali viene sconfitta da sinergie di terapie di farmaci che agiscono su più bersagli».
Dopo un anno è ancora presto per capire come trattare il virus?
«È presto ma abbiamo fatto tantissimi progressi rispetto all’inizio».
I grandi errori dell’inizio?
«Si è pensato troppo al virus e poco alla componente infiammatoria. Al principio si guardava con terrore al cortisone che invece, utilizzato nel timing adeguato, è addirittura risolutivo».
E per quanto riguarda i vaccini? Lei è vaccinato
«I vaccini sono molti e funzionano quasi tutti abbastanza bene. Io sono vaccinato e ho sviluppato gli anticorpi».