C’è una differenza sottile, ma decisiva, tra ispirarsi e appropriarsi. Perché i capelli parlano: raccontano da dove veniamo, chi siamo e cosa scegliamo di mostrare o nascondere.
E allora basta con i “capelli difficili”. Basta con i «li porto così perché è più comodo». È tempo di dirlo chiaro: i tuoi capelli non sono da sistemare, sono da raccontare.
Quando la moda dimentica
Negli ultimi anni il “cultural hair” è apparso sulle passerelle come simbolo di inclusione estetica: afro scolpiti, trecce intrecciate, turbanti scultorei. Ma dietro l’immagine patinata resta una domanda: chi racconta queste storie?
Nel 2024, la moda parla di diversità, ma spesso dimentica l’ascolto. La vera rivoluzione è dare spazio a chi quei gesti li vive da sempre, non solo a chi li riproduce per tendenza.
La bellezza come eredità
Sì, le passerelle stanno diventando più inclusive, ma non basta, perché la diversità non è un accessorio da sfilata.
Vuol dire dare spazio, voce e credito a chi quelle storie le vive da sempre.
Una storia per ogni ciocca
Dietro ogni treccia, ogni riccio, ogni turbante, e ogni tipo di pettinatura c’è una storia personale. C’è la madre che pettina la figlia davanti allo specchio, insegnandole che il suo afro non è “da sistemare”. C’è chi ha impiegato anni per smettere di lisciare i propri capelli, e chi li ha riscoperti come parte di sé dopo una vita di sguardi giudicanti. Quindi sì, cura i tuoi capelli, ma ricordati sempre che non stai solo facendo beauty routine, bensì che stai scrivendo una parte della tua storia. E se qualcuno ti dice che «quel look non è per tutti», sorridi e rispondi: «Hai ragione. È mio». Questa risposta fa capire come ogni chioma sia una storia di appartenenza e come ogni riccio lasciato libero sia una forma di verità.